La mostra La materia della luce. Piccoli oggetti per abitare il mondo, alla Galleria Volumnia di Piacenza a cura di Antonello Marotta (catalogo Lettera Ventidue, inaugurazione 20 giugno) presenta opere nate dal lungo dialogo tra l’architetto Dario Costi e lo scultore Paolo Mezzadri. L’esposizione presenta sculture, installazioni, arredi e complementi nati da un processo di astrazione e concettualizzazione delle forme orientato a esplorare le potenzialità espressive della materia in rapporto con la luce.

Il progetto espositivo si presenta come il risultato di una ricerca teorico-progettuale che attraverso entrambi gli ambiti disciplinari ha dato forma a dispositivi spaziali capaci di indagare in modo essenziale la relazione tra spazio, forma e percezione. Il lavoro tra i due autori si sviluppa attorno a una serie di principi fondativi in parte ricavati dalla ricerca concettuale e compositiva dell’architetto in parte rielaborati attraverso l’esperienza dell’artista sul metallo. Cosicchè le opere esposte nascono dal disegno e si compiono nella materia. Le superfici metalliche, trattate con gesti essenziali – saldatura, taglio, ossidazione – diventano momenti di tensione tra forma e tempo. In questo processo la luce agisce come elemento compositivo primario: non semplice condizione, ma principio che genera ombra, rivela geometrie, amplifica la percezione figurativa.
Ne scaturisce un design architettonico d’artista, come lo definiscono gli autori, dove l’unicità dell’oggetto non è data dalla forma in sé, ma dalla sua capacità di restituire – ogni volta – una diversa relazione tra materia e luce rendendo lo spazio un campo sensibile di relazioni. Gli oggetti esposti pensati per l’abitare quotidiano sono esemplari evocativi e operativi in grado di innescare un pensiero sull’abitare inteso come gesto culturale e relazionale.

In questo quadro, il magnifico luogo di Volumnia – l’ex chiesa di Sant’Agostino a Piacenza – assume un valore fondativo. Non è un semplice spazio espositivo, ma una soglia: un luogo in cui l’arte si confronta con la propria condizione spirituale e temporale. Le opere si misurano con la forza della dimensione architettonica della maestosa chiesa con l’imponenza della navata e con la luce naturale che orienta lo sguardo, modella la percezione e amplifica la presenza degli elementi. È in questa sospensione che la mostra trova la sua forma corale: un progetto che intreccia arte, architettura e design, arricchito da voci provenienti dal campo dell’architettura, della psicologia e della musica. Attorno al lavoro condiviso di Dario Costi e Paolo Mezzadri si raccolgono così sguardi molteplici capaci di restituire una lettura profonda del percorso che li unisc
Antonello Marotta, curatore della mostra, individua nella collaborazione tra Costi e Mezzadri la possibilità di generare “archetipi dello spazio senza tempo”. Le opere non si offrono come esiti formalistici, ma come dispositivi di passaggio, “piedistalli che accolgono la vita”, soglie tra spazio e tempo, tra gesto e progetto. È nel reciproco decentramento tra arte e architettura che si produce quella tensione essenziale capace di generare nuove forme dell’abitare: non oggetti, ma situazioni aperte, strutture relazionali.
Lo legge Ivan Paterlini nella materia – e nelle sue trasformazioni – attraverso la presenza silenziosa dell’inconscio. Le saldature si mostrano come “cicatrici”, la ruggine come tempo esposto, la luce come interrogazione più che rivelazione. L’opera è uno spazio liminale, dove la forma non rassicura ma disarma, e l’ombra accompagna lo sguardo amplificandone l’incertezza e la profondità.
La dimensione sensoriale si completa con il contributo di Fabio Capanni che affida alla parola la dimensione sonora dell’opera: “il suono sogna la materia, la luce è materia”. In queste due polarità – sogno e sostanza – si compone la grammatica poetica della mostra. Il suo contributo apre alla possibilità di leggere le installazioni non solo come oggetti visivi ma come strutture di risonanza, in cui tempo, luce e spazio costruiscono una partitura comune. La mostra è così anche ascolto, gesto immersivo, condizione sensoriale che precede la comprensione.

Nel giorno più lungo dell’anno – quando la luce indugia al limite della notte senza mai svanire del tutto – sarà Volumnia ad accogliere un’esperienza immersiva capace di restituire intensamente il tempo e lo spazio dell’architettura. La mostra La materia della luce prende forma così attraverso suoni, gesti, parole e fuochi. La notte si configura come rito di passaggio, come spazio poroso tra il visibile e l’invisibile. L’incontro tra le opere e il pubblico sarà mediato da molteplici linguaggi artistici: la musica di Fabio Capanni – composta per l’occasione – e la danza della compagnia De Arte Saltandi, che agiranno come strumenti di risonanza e interpretazione sensibile.
Nel passaggio tra il tramonto e l’alba, un fuoco verrà acceso: le superfici circostanti si animeranno nella vibrazione della luce mentre le ombre diventeranno voce di un dialogo più intimo. L’alba non sarà una conclusione, ma una sospensione. Quando la luce incerta del giorno nascerà si potrà assistere assiema alla chiusura di un ciclo di attraversamenti. In questa liturgia laica la mostra si espande: diviene soglia, relazione, memoria. Un invito a riscoprire il senso del fare artistico come pratica collettiva, generativa, aperta.
