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October Gallery quaranta anni di fuoco e fiamme

L’articolo ricorda l’attività della October Gallery a Londra. Una galleria che ha promosso l’arte “non occidentale” e soprattutto una rivoluzionaria ecologia.

English Translation by dr. Gerard Houghton

In una fase del mio insegnamento, molto prima di scoprire la October Gallery, cercavo progetti esemplari di Mixité. Avevo studiato a lungo la residenza urbana per scoprire che i temi della contemporaneità non si davano attraverso le monofunzionalità del passato, ma attraverso la compresenza (chiamata appunto Mixité) di più funzioni interagenti. Dovevo usare parole diverse per comprendere “nebulose di funzioni” e non funzioni accertate in partenza. Proposi ai miei studenti “Living” per l’area della residenzialità. Intendevo dire che nel Living ricadevano molti modi di vivere (dalla casa intergenerazionale alla camera singola con in mezzo decine di variazioni). Proposi “Creating” per l’operare. Il verbo conteneva la doppia accezione di creazione, in quanto fatto tangibile, e quale frutto di un atto creativo (come è nella società dell’informazione perché rispetto al passato il lavoro è meno meccanico e più, appunto, creativo). Infine l’area del “Exchanging”: il verbo “scambiare” alludeva al mondo dell’economia e del commercio. Le formulazioni inglesi al gerundio, non so bene perché, mi sembravano quelle giuste. Queste tre aree di attività dovevano coesistere in un progetto di Mixité, ma era del tutto evidente che ciò non bastava. Doveva essere presente un “catalizzatore” che fornisse una declinazione specifica per ciascuna attività. Lo chiamai “Driving Force”, una forza trainante che orientava il tipo di Living, il tipo di Exchanging e il tipo di Creating che prendeva corpo concretamente nel progetto. Naturalmente non sto a fare la storia delle scoperte di queste approccio, ma certo quando per la prima volta visitai la October Gallery a Londra feci un bel balzo. Eccola una perla della mia collezione di Mixité – mi dissi – ed è uno tra i casi migliori.

Francis Bacon e William Burroughs davanti alla October Gallery a Londra nel 1989 da Dream No Small Dream cit.

Siccome della October Gallery (OG) si sono appena celebrati i 40 anni di attività, vi scrivo qui di seguito come interpretai il progetto. Innanzitutto la “Driving Force” era naturalmente costituita dall’arte, ma con una angolatura tutta particolare. Era la “Transvangarde” (contemporanea ma completamente indipendente dal movimento italiano Transvanguardia di Bonito Oliva, come mi fa notare l’amico Gerard Houghton che cura la traduzione in inglese del presente articolo) dicevamo la Transvangarde privilegiava artisti spesso sottovalutati come Brion Gysin al lavoro in the “Third Mind” con lo scrittore e arista della beat generation William Burroughs, oppure dei neo diplomati alle scuole d’arte di Londra o artisti ai margini come Gerald Wilde che vivevano in frugalità come il nostro poeta Valentino Zeichen. Dopo alcuni anni di ricerca, la galleria si specializzò verso l’arte “non occidentale”. In particolare l’arte africana, ma anche l’arte orientale in particolare indiana, attraverso l’amicizia con Tambi – James Meary Tambimuttu poeta e artista dello Skrilanka. La galleria scoprì così una dopo l’altra personalità dalla forza creativa immensa, alcune anche in questo momento in mostra. La OG si affermò come un centro d’avanguardia con una attenzione tutta nuova e originale che cominciò a destare l’interesse dei musei, i cui curatori più limpidi riconobbero il ruolo storico svolto in questi quarant’anni.

Brion Gysin, Untitled 1962, Mostra Nomadic Resonance

La October Gallery è, diciamo così, una galleria anche dal punto di vista strettamente commerciale, ma naturalmente è molto di più. Parliamo ora di come vi si organizza il Living (che già è una eccezione in sé averlo in una galleria d’arte). Nella OG vi sono appartamenti di varia pezzatura. Il più grande è di circa 60 mq, altri sono assimilabili a case-studio sui 25 e molti altri invece sono solo piccole camere da letto, ampie solo 8 o 9 metri quadri con o senza bagno. A che servono questa ventina di appartamenti di taglio diverso?. Beh innanzitutto uno è della direttrice della galleria – che si chiama Chili Hawes che l’ha costruita alla fine del 1978 e diretta dal 1979 – altri sono occupati a turno dai membri dell’IE (Institute of Ecotechnics, che vi ha anche la sede legale e su cui torneremo), altri sono occupati a turno da artisti e dai loro familiari vuoi nei periodi dell’installazione di mostre, vuoi in occasioni di visite a Londra, altri sono per amici o membri onorari dell’IE, come il sottoscritto, altre per giovani che compiono uno stage formativo. Questa variegata tipologia di persone determina quegli aspetti di multi etnicità, di multi culturalità e di multi generazionalità che spesso vengono rivendicati teoricamente e che qui si trovano semplicemente realizzati. Naturalmente per poter svolgere pienamente il Living la OG deve avere una cucina che in questo caso è ampia circa 18mq, con attrezzature semi professionali organizzate per funzionare a seconda del bisogno.

Veniamo ora all’Exchange. La presenza della cucina permette di offrire pranzi leggeri a prezzi contenuti, mentre due ampie sale all’ultimo livello ospitano l’una conferenze o concerti per circa 150 persone l’altra riunioni più ristrette in una atmosfera da club privato londinese (camino, divani in cuoio, stampe ecctera). Questi ambienti – comunicanti o separati – sono usati tanto dall’IE che affittate a gruppi che possono tenervi per esempio un concerto di musica sperimentale (ho assistito a una performance del grande Jaron Lanier) o dei corsi.

Romuald HazoumèMariama, 2019.
Bidone di plastica, tessuto e rame

E veniamo al Creating che è naturalmente l’opera principale della galleria che ha una direttrice artistica che si chiama Elisabeth Lalouschek e che affianca Chili Hawes da trent’anni. L’OG oltre al lavoro specifico delle mostre prevede molte attività collaterali, incluse le pubblicazioni, la partecipazioni a fiere d’arte nel mondo, la vendita delle opere, le pubbliche relazioni, la gestione di completo sito internet. Affiancano la direzione gruppi di lavoro di contabilità, design e management, circa una decina di persone.

L’OG è una macchina pulsante che innesta tizzoni ardenti nella realtà. Ha prodotto in quarant’anni almeno dodici mostre l’anno. Conosco la galleria dal 2008 e da allora ne ho visitate una decina di memorabili (dalla prima Angaza Afrika: African Art Now, per passare a Brion Gysin: Calligraphy of fire, alla personale di Romuald Hazoumé che presentava all’Horniman Museum di Londra la “Bouche du Roi” una sorta di terribile barcone sul viaggio degli schiavi. Inoltre ho visitato diverse collettive sotto il titolo di Transvangarde sino all’ultima in corso sino all’11 giugno. Si intitola Nomadic Resonance e sotto il mantello della cultura nomade raccoglie sette artisti che determinano sorpresa e entusiasmo: dall’opera meravigliosa di El Anatsui “un tappeto magico – scrivono le direttrici – che attraversa paesi e culture” – a quella Sylvie Franquet passando ancora per Romuald Hazoumè e poi Alexis Peskine, LR Vandy, Rachid Koraïchi’s e alcuni acquarelli del ricordato Bryn Gysin che ha passato gran parte della sua vita appunto in perenne movimento a partire dall’amato Marocco.

Naturalmente quanto descritto si esplica negli spazi che sono lo specchio delle attività. E uno si domanda se sono gli spazi che assorbono l’anima delle persone o le persone che si plasmano sugli spazi. La galleria si insedia nell’autunno del 1978 in un umido, malsano ammuffito edificio che ospitava una scuola vittoriana di tre piani in mattoni (progettata nel 1863 dall’architetto Samuel Teulonin in stile neo-medievale). Lo stato pietoso dell’edificio nella Londra pericolosa, satura di smog e carbone degli anni Settanta era riscattato da una localizzazione magica. Una stradina (al 24 di Old Gloucester Street) nel quartiere di Bloomsbury. Sapete i terreni lottizzate dalla famiglia Russell e che ospita (oltre la casa di Peter Pan, nella versione edulcorata Disney) almeno otto Università tra cui il City College di Londra e l’Architectural Association e che è soprattutto il quartiere del British Museum, che sta a quattro minuti a piedi dalla galleria. Il tessuto urbano è squarciato dalle arterie di scorrimento, ma appena girato un angolo una scala più minuta e antica prevale. L’edilizia attorno alla galleria si organizza attorno alle “square” di verde pubblico con parchi più o meno grandi circondati da una edilizia spesso minuta, ma che combina sempre, come in tutta Londra, nuovo e antico con la stessa naturalezza con cui si intrecciano razze e costumi.

La Courtyard della October Gallery a Londra. A destra la parete cieca della galleria con i ritratti dei principali artisti, a sinistra le due finestra della direzione, al centro la scala in ferro aggiunta nella ristrutturazione che rende un ulteriore accesso agli ambienti superiori e una fuga antincendio.
Rilievo della vecchia scuola, pianta del secondo livello e sezione.

Quindi la October sorge in questo magnifico quartiere. L’edificio ha una pianta ad “L” con la parte aperta delle due braccia che costituisce la courtyard verso un ospedale per bimbi. La courtyard è vero giardino della meraviglie. Innanzitutto è popolata da piante rigeneranti di cui vi posso spedire il dettaglio, poi tavoli e un grande divano, infine in fondo alla “L” un gruppo di servizi igienici (che ogni volta mi colpisce per un dettaglio semplice: la luce dall’alto). Dalla corte una scala esterna in ferro porta al primo piano in cui ci sono gli appartamenti che abbiamo spiegato. La scala prosegue al terzo livello dove serve l’appartamento più grande e poi il club e il teatro nella parte lunga della “L”. Tutto naturalmente è plurifunzionale. Il club per esempio è anche la biblioteca dell’October Gallery, il teatro è allo stesso tempo – come si diceva – sala conferenza o sala per prove di danza o ginnastica.

Tornando al piano terra, le due braccia interne della “L” contengono la galleria vera e propria e in fondo una grande cucina che naturalmente è un motore fondamentale, come si diceva, del progetto di Mixité. Dall’entrata sulla strada una scala interna conduce anche in basso dove vi sono gli spazi di lavoro dell’equipe che si occupa dei diversi aspetti della galleria. Sulla corte si apre l’ufficio delle due direttrici che permette di supervisionare con naturalezza molto di quello che accade.

El Anatsui, Untitled, 2021 October Gallery Mostra Nomadic Resonance Foto Jonathan Greet

Vi dicevo allora del mio entusiasmo per trovare un esempio veramente paradigmatico di Mixité; mi sembrava un esempio da studiare, proporre e indagare sempre di più. Ma, a poco a poco, compresi che il Mix di funzioni, non è una ricetta, ma una magia. Era qui alla October Gallery che prendeva corpo la concretizzazione di idee alte: una comunità al lavoro insieme (nei tre mesi eroici della costruzione della galleria affiancarono Chili Hawes, John Allen, Margaret Augustine, Edward Bass, William Dempster, Kathelin Gray, Robert Hahn, Marie Harding e Mark Nelson tutte personalità eccezionali – architetti, geologi, ecologisti, letterati sin’anco un miliardario texano – che lavorarono 15 ore al girono per tre mesi, e che formarono il gruppo che costruirà alla fine degli anni Ottanta Biosphere 2 a Oracle in Arizona ). Sono persone che non hanno avuto paura a coltivare grandi sogni (Dream No Small Dream, “Non sognare piccoli sogni”è il titolo del libro che celebra i 40 annidella galleria). Vi è sempre stata in questo gruppo di persone una propensione al lavoro (il nostro creating) tanto intellettuale che manuale – sempre diviso al 50% in ogni giornata. Sono tutti elementi che attraversano la filosofia dell’Institute of Ecotechnics che ha creato decine di progetti nel mondo tutti completamente diversi uno dall’altro, ma tutti allo stesso tempo basate su comuni concetti. Il più forte? Quello che aveva riscoperto Buckminster Fuller: la Sinergia, 1+1 = 3.

Paul Friedlander, Installazione luminosa alla Inaugurazione di “Dream no Small Dream: 40 anni di Transvangarde, Londra 2019. Foto courtesy di Jonathan Greet.
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