Un giudizio largamente positivo per la nuova Biennale di Architettura “Intelligens. Natural. Artificial. Collective.” e anche per i padiglioni stranieri. Efficace e ben risolto il Padiglione Italia
Nel 2000 le persone che avevano dai 20 ai 40 anni e un interesse per l’impatto dell’informatica nella progettazione avevano un punto di riferimento nella collana internazionale, “La rivoluzione informatica in architettura”. A cominciare da quella data circa furono pubblicati 40 libri in italiano in inglese e una dozzina cinese. Il 2000 – 25 anni fa – è stato anche l’anno della biennale curata da Massimiliano Fuksas che aveva come obiettivo principale quello di presentare le ricerche di questa nuova ondata di architetti interessati all’ibridazione tra l’architettura e il mondo della cosiddetta terza ondata: Tra loro Peter Eisenman, Diller e Scofidio, Toyo Ito, UnStudio, Penezić & Rogina tutti oggetto di una monografia nella collana menzionata. L’obiettivo comune alla biennale di Fuksas come alla collana era eminentemente “estetico” . Si intendeva esplorare quale potesse essere la visione d’insieme, appunto la sintesi, la direzione in cui far procedere le conoscenze umane dopo l’arrivo impetuoso del paradigma informatico anche in architettura. Su questo bisogna ben intendersi perché una cosa è la presenza di numerosa novità scientifiche, tecnologiche e computazionali, un’altra è la ricerca di quali forme nuove d’arte queste stesse innovazioni possano portare. Il Pantheon, è frutto della tecnologia voltata dei romani, delle nuove tecniche costruttive e del cemento pozzolanico, ma naturalmente esso è enormemente di più. Questa mostra di Carlo Ratti chiamata Intelligens è interessante, vivace compatta e coerente tra il lavoro principale in mostra alle Corderie e le presentazioni nei padiglioni internazionali. Questo ingegnere italiano, poi architetto trasformatosi mano a mano in progettista, nel 2000 aveva 39 anni e oggi ha quasi la stessa età di Fuksas allora. Questa sua opera dimostra ancora una volta che la Biennale di architettura per essere potente e interessante deve essere affidata a un progettista operante al pieno della sua forza creativa.
In realtà anche se quella di Fuksas si presentava come “Less Aesthetics, More Ethics” in realtà era estremamente più estetica che etica, questa di Ratti è senza dubbio molto più Ethics che Aesthetics.
Il curatore si preoccupa infatti dello stato del mondo e cerca di valorizzare sperimentazioni, materiali, ipotesi che facciano prendere coscienza del punto di ritorno che stiamo vivendo. “Per affrontare un mondo in fiamme – dice – l’architettura deve riuscire a sfruttare tutta l’intelligenza che ci circonda” Del tutto importante è quindi in questo contesto il premio alla carriera a Donna Haraway, a ragione una delle più grandi pensatrici sull’impatto “dell’evoluzione tecnologica nella nostra natura biologica” .
Il risultato di questa Biennale è un’efficace mostra di opere, prototipi e idee meno edonistiche e meno estranee a ogni riflessione architettonica rispetto ad alcune del passato recente come quella molto “Science fiction” del 2021 curata Hashim Sardis anche lui professore all’MIT come Ratti.

Come si diceva la maggioranza dei padiglioni stranieri seguono compatti l’impostazione generale della Biennale, ciascuno naturalmente declinandola con la proprio cultura. La Germania (sopra) presenta uno stupendo video che partendo dalle crisi della terra spinge ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità. Contemporaneamente, nella migliore tradizione istruttiva tedesca, il padiglione fornisce dei suggerimenti molto chiari per migliorare la qualità climatica dello spazio pubblico con schemi e diagrammi: “gestione adattiva delle acque meteoriche”, “de-impermeabilizzazione”, “ombreggiamento”, “colori chiari”.. poche e chiare regole da seguire.

Formidabile il padiglione del Canada (sopra), dove si sviluppa una nuova ricerca in cui viene “stampata” una forma 3D effettivamente vivente. Si creano così una sorta di nuovi alberi artificiali ma effettivamente viventi, perché insieme alla sabbia vengono inserite dei batteri che indurendosi generano ossigeno bruciando anidride carbonica. Come stupendo, ma non è una sorpresa, è il padiglione della Spagna, orchestrato su 10 progetti che presentano una ricerca avanzata sul riuso dei materiali locali e quindi sulla riduzione al massimo del CO2 e su cinque sale che evidenziano altrettanti problemi legati al mondo delle costruzioni: Materiali Energia, Manodopera, Scarti, Emissioni. L’allestimento è intelligente e di effetto: il modello di ogni progetto è inserito sul piatto di una bilancia che mette sull’altro piatto il suo uso delle risorse (sotto)

Più generici e poco convincenti sono invece il padiglione della Giappone, di cui non si capisce assolutamente nulla, e anche quello dei paesi Scandinavi. Intenso il padiglione della Gran Bretagna che lavora sul tema della geologia e ci ricorda che le pratiche edilizie sono le più invasive del pianeta terra e le maggiori responsabili del disastro termico. Il visitatore si muove in installazioni dalla forte narratività come nel caso della ricostruzione 3d (sotto) di una grotta in cui sono stati prigionieri molti schiavi africani.

La Francia fa di crisi virtù in un bellissimo allestimento che circonda l’edificio in ristrutturazione e presenta progetti che affrontano temi innovativi dal punto di vista ecologico e climatico (sotto).

Il padiglione del Belgio presenta un sistema di piante e alberi da esaminare scientificamente nei mesi della biennale per capirne l’interazione con l’edificio. Il progetto si chiama “Building Biosphere”, il curatore Bas Smeets ha passato molto tempo nei progetti dell’Institute of Ecotechnics a Londra, in New Mexico e naturalmente a Biosphere 2 di John Allen in Arizona, il più grande esperimento ecologico mai realizzato nel pianeta terra. Gli Stati Uniti ripropongono il tema del portico come spazio di mediazione dalle molteplici valenze in una ricco allestimento (sotto).

Alle Corderie dell’Arsenale si organizza la ampia selezione ordinata da Ratti e dal suo team: vi si sente forte e convincente l’impronta curatoriale. Le prime due sale giocano con il salto climatico. La prima mostra il nostro mondo assurdo popolato da decine di ventilatori artificiali in cui si soffre un grande caldo mentre la seconda ricorda un anfiteatro greco caratterizzato dalla pietra naturale e da un bel clima.

Seguono una serie di interessanti installazioni di opere organizzate nelle tre sezioni “Natural, Artificial, Collective” che fanno del materiale naturale usato in maniera innovativa il centro del discorso con installazioni e modelli di grande efficacia (sopra quello di Studio Gang per una ricolonizzazione animale delle parti degradate delle città). Molte volte quanto in mostra presente un carattere decisamente sperimentale e lavora più sulle tecnologie che sugli esiti. I risultati più interessanti infatti non sono alla scala del manufatto edilizio, ma nel rapporto tra grandi infrastrutture idriche, disegno di paesaggi mobili e riconfigurabili e informatica e si hanno soprattutto in Oriente. In questo grande campo si presenta invece il timido progetto per il Tevere “CanticoTiberino” che invece di azioni di progetto, propone l’usuale infinita catalogazione. Fossi stato il sindaco di Roma (invece che al compagno di partito Stefano Boeri) avrei dato l’incarico il gruppo cinese di TurenScape (che hanno decine di fantastici progetti idrici realizzati alle spalle) e che certamente ci avrebbero ben spiegato che fare del Tevere dal punto di vista ecologico e paesaggistico insieme.


Alcune progetti alle Corderie riescono ad affrontare anche il tema dei temi: quale è l’estetica di questo nuovo mondo a metà naturale a metà vegetale, a metà fisso a metà mobile?. Convincente il lavoro Anupama Kundo (sopra alto). Sul fronte più avanzato si pone François Roche New territories (sopra al centro ) a cui è stato dedicato l’ultimo volume della citata collana, e sul fronte di una entusiasmante soluzione sul fronte della concretezza il progetto il neo-autoctono del geniale Andrés Jaque dean a Columbia. Il progetto è della Reggio School si ispira al metodo pedagogico Reggio Emilia, ponendo l’architettura al centro dell’esperienza educativa (sotto).

Infine il padiglione Italia che a mio avviso è molto buono. Lo spazio del padiglione è difficilissimo da affrontare e la curatrice Guendalina Salimei con i partner storici di Tstudio e dei fidati collaboratori capeggiati da Anna Riciputo hanno affrontato il tema spaziale attraverso la ricerca in sezione. Una grande rampa accompagna il visitatore dentro il padiglione presentando il mare (TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’Intelligenza del mare è il tema portante del padiglione) sia nei suoi dati artificiali che naturali con un video molto forte e interessante di Luigi Filetici. Si prosegue in quota accompagnati da un’ossatura metallica incontrando grandi tavoli video in cui esaminare le ricerche in corso sul tema. L’intero spazio richiama le navi e i porti sino a un efficace anfiteatro in testata. Da una rampa si scende accompagnati da moltissimi disegni (sotto) . Parliamo di 400 espositori e al piano terra, come se si fosse sotto coperta, molte stazioni-schermi raccontano il brulicare degli studi in Italia su questo tema. Un amico mi fa notare la frammentazione della produzione e la scarsità di progetti realizzati. Ebbene è vero, basti pensare che la stessa curatrice vincitrice quasi vent’anni or sono del relativo concorso ha potuto realizzare solo da poco e solo piccola parte del suo progetto per il lungomare di Napoli e a Genova non è mai stato realizzato il progetto di UnStudio di riconversione di una vasta area industriale denominato Ponte Parodi e il progetto di Zaha Hadid sul lungo mare di Reggio Calabria del Museo del mediterraneo del 2007 solo ora è in cantiere. Così vanno le cose in Italia: che questo padiglione possa aumentare la volontà di intervento concreto prima che sia troppo tardi. Bellissimo il catalogo in due volumi, ricco di qualificati interventi. Dispiace il prezzo troppo alto per studenti e neo-architetti.
