A Palazzo delle Esposizioni di Roma è aperta sino al 9 giugno una mostra per il centenario di Carla Accardi, un’artista che ha sviluppato ricerca tra grafica e spazio con implicazioni vitali anche per il pensiero dell’architettura
Carla Accardi o del segno in movimento. Potrebbe essere questo il sottotitolo della mostra antologica che Roma dedica ad una delle figure più rilevanti dell’astrattismo italiano (1924 – 2014). L’allestimento si sviluppa lungo sette sale e nella rotonda adiacente del Palazzo delle Esposizioni, seguendo una scansione cronologica che si rivela una scelta quanto mai opportuna per ricostruire al meglio un percorso di ricerca sessantennale segnato da fasi diverse tra loro. È nella costante sperimentazione e nel confronto-interlocuzione con le tendenze artistiche del proprio tempo l’elemento di continuità del lavoro di Accardi, senza che questa relazione comportasse un’adesione formale ai diversi movimenti artistici. Fa eccezione la partecipazione giovanile al gruppo Forma 1 (Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo) che già nel ‘47 segna la scelta di Carla Accardi in nome dell’informale. Forma 1, distinguendosi dall’astrattismo classico, partiva dall’assunto che la partecipazione dell’artista alla vita politica del suo tempo, potesse tradursi in forme-colore nuove, piuttosto che in una riproposta del figurativo. Forma 1, i cui componenti aderivano al Pci che con il suo leader si era espresso in favore del realismo, si sciolse nel ‘51. Ne seguì per Accardi un periodo di crisi che si risolse nella scelta di approfondire la ricerca sul segno – colore e sulla sua dinamica; questo il tema su cui, a partire dal ‘53-54, concentrerà il suo lavoro.
Dall’informale all’abbandono del colore, la crisi di Accardi si risolse non in una depressione, ma in un’espressione, come osservò Germano Celant. Nasce così la serie delle agglomerazioni segniche di bianco su sfondo nero. Nata da un’ “istanza di anti pittura”, (Intervista a Carla Accardi – Trapani 1998), la scelta del bianco su nero è funzionale a distinguere il segno dalla scrittura; si compone una struttura sulla superificie in cui una traccia è differente dall’altra, per ottenere un effetto di agglomerazione diverso dalla ripetizione segnica del decennio successivo.
Negativo positivo, 1956
L’opera nasce così da un segno su una superficie che si moltiplica fino a comporre un labirinto, tema borgesiano e poi calviniano, ma che in Accardi non ha alcuna implicazione letteraria e, tanto meno, simbolica. Forme dispiegate sulla superficie su cui l’artista costruisce una trama perfettamente calibrata, frutto di un lungo lavoro preventivo. A questo si riferiva Michel Tapié, uno dei primi critici di rilievo internazionale ad interessarsi del lavoro di Accardi, quando parlava di “pittura fredda”, agli antipodi dell’espressionismo astratto e dell’action painting; non certo estranee alla sensorialità, le trame di Accardi si addensano, aggregano, compongono e scompongono fino a riempire lo spazio e confondersi con esso. Lo spazio, come da lezione d Lucio Fontana, uno degli artisti di riferimento di Accardi, destruttura il quadro e permette la sua espansione oltre la tela.
Il rifiuto del cavalletto, sostituito dalla tela a terra o su tavolo, si spiega con un’idea di pittura fondata sulla percezione che nulla ha a che fare con l’arcano, il misterioso, l’auratico. Una calibrata resa delle intensità che già dagli anni ‘50 ha i suoi punti fermi: la ricerca di nuovi materiali (la caseina utilizzata per dare luminosità al segno), l’assenza di profondità all’insegna della bidimensionalità, il movimento in circolo, il colore che crea l’immagine (Matisse). In questi anni Accardi individua due concetti che non abbandonerà più, quelli di contrasto e vitalismo, a mutare saranno i colori, i materiali, la composizione dei segni, ma non il dialogo visivo da cui scaturiscono, mantenendo una sottile linea di continuità con la giovanile esperienza avanguardistica. L’opera è concepita non come depositaria di rivelazioni, ma come entità da attraversare, scaturita, altresì, da una solida serie di temi e riferimenti ai movimenti del primo ‘900, tra cui spiccano Balla e il futurismo.
Nei primi anni ‘60 un nuovo passaggio. Il ritorno al colore, accompagnato da un cambiamento nello sviluppo del segno, ora meno aggrovigliato alla maniera del labirinto, ma disteso nelle sequenze costruite sempre sul contrasto con la superficie; qui il colore si staglia in trame di verde su fondo rosso o, viceversa, acquisendo una forza particolare grazie all’accostamento dei complementari.
Il segno si sviluppa in una sorta di riedizione di quell’alfabeto immaginario sperimentato nel decennio precedente, ora composto da tracce più piccole, distinte e ripetute. Anni dopo l’artista descriverà il processo come conseguenza della relazione con la cultura di quegli anni, la scoperta dello strutturalismo che proponeva l’idea dell’opera come un insieme di componenti scomponibili e ripetute (“ho dato immagine alla visione strutturalista del mondo”, Carla Accardi, p. 483).
In tele come Viola rosso (1963)o Moltiplicazione verde argento (1964), Accardi approfondisce il tema della differenza nella ripetizione, suggerendo l’accostamento con quanto, anni dopo, teorizzato da Gilles Deleuze. La ripetizione non è mai eguale, piuttosto individua una differenza che ogni volta apre ad un incremento di intensità, ad una ulteriore possibilità di senso. Il segno attraversa e supera la superficie, mescolandosi con ciò che lo circonda.
Moltiplicazione verde argento, 1964
L’accostamento a Deleuze è quanto mai pertinente se si tiene conto del carattere vitalistico del lavoro di Accardi, della sua celebrazione del movimento. Ritornano semplificati alcuni temi già sperimentati, come quello dell’arciere e dell’assedio, e la ribadita centralità del colore, amplificato dall’utilizzo di sostanze fluorescenti.
Sono questi gli anni dell’affermazione internazionale, confermata dall’invito alla biennale veneziana del ‘64, dominata dalla scoperta della Pop art. Ma è ad un artista assai diverso dalla poetica Pop come Frank Stella, anch’esso attirato dal tema del movimento e del ritmo, che Accardi dedica un’opera (Seconda stella, 1964). Trova conferma l’impermeabilità dell’artista riguardo a stili e linguaggi, l’autonomia del suo segno. Da queste premesse nasce la sperimentazione con il sicofoil (un materiale composito di resine e fibre, usato in ambito industriale noto per resistenza e leggerezza) che inaugura l’abbandono della tela, sostituita dai moduli della Tenda o dei rotoli in sicofoil su cui sono impressi dei nuovi segni: semplificati, dal tratto più marcato, talvolta come nella prima Tenda (1965-66) in un crescendo che sembra alludere ad elementi antropomorfi (le labbra) o animali (il pesce).
Tenda, 1965 – 66
Ciò che interessa l’artista è il farsi del processo creativo, la sua interazione con la materialità e con la vita delle persone comuni cui con la Triplice tenda (1969 – 71) è suggerita una possibilità di cambiamento; uscire dalla banalità degli ambienti domestici ed immaginare nuovi spazi connessi con l’esterno, non a caso le pareti trasparenti, grazie ai quali promuovere una socialità più libera e fluida. Un mondo che ha avuto e può avere ancora esiti in opere di allestimento e anche in architettura soprattutto negli spazi di filtro e transizione tra interno ed esterno, Accardi stessa cita il nomadismo come fonte di ispirazione e rivendica nelle interviste di questi anni la specificità di un lavoro che coniuga rigore linguistico e desiderio di entrare in relazione con la vita. Non a caso, parla esplicitamente di interesse per l’architettura e del desiderio di connettere quest’ultima al lavoro degli artisti. Sono gli anni in cui si afferma l’arte povera e Accardi, a suo modo, fa i conti con la desacralizzazione del quadro e la relazione tra opera e ambiente. Agli anni ‘70 appartengono le serie in sicofoil su telaio di legno, in cui approfondisce il tema della trasparenza e della luminosità nella ricerca di una relazione più autentica tra interno ed esterno. Come d’abitudine, le variazioni sul tema non mancano; in un caso sul sicofoil sono impresse figure geometriche su cui sono dipinti segni che ricordano code di rondine (Tre triangoli, 1972), in un altro (Trasparente, 1974) compaiono piegature lievi, in un’altra versione (Verde, 1974). L’artista sceglie così di manipolare la materia plastica creando dei grandi segni ripetuti che lo sguardo può attraversare oppure riproduce un tracciato che ricorda le saline trapanesi e la luce abbagliante che avvolge quel suo paesaggio nativo (Grande Trasparente, 1976). In questi anni è la fondazione del gruppo Rivolta Femminile, insieme ad Elvira Banotti e Carla Lonzi, già critica d’arte e autrice di interventi illuminanti sul lavoro di Accardi.
Ad un primo sguardo, la radicalità del femminismo separatista sembra estranea al percorso finora compiuto da Accardi, in realtà Rivolta Femminile sembra assomigliare più ad un’avanguardia artistica che ad un gruppo politico. Ed è quando questo elemento rischia di venire meno, allorché Lonzi rivendica l’esclusività del lavoro sulla parola per la pratica dell’autocoscienza, che avviene la rottura con Accardi, che, pur da un punto di vista femminista, sceglie di continuare il suo lavoro. Nel ‘76, insieme ad altre artiste, fonda la Cooperativa del Beato Angelico, nata per documentare il lavoro creativo delle donne; la personale di Accardi si aprì nell’aprile ‘76 con Origine, un’installazione sviluppata su parete; su un lato, sei strisce di sicofoil su cui sono impresse foto della madre dell’artista, su un altro le strisce sono spoglie, mentre in una grande nicchia della parete compresa in un fondo bianco è posta la foto incorniciata di un’antenata.
Al periodo ‘78 – 80, corrispondono le figure geometriche, – rettangoli, trapezi, ottagoni – in legno dipinto di tracce alternate di colore tamponato, verdi, arancio, blu, avvolte da sicofoil. I telai sono pensati per essere disposti a terra o a parete come elementi flittuanti nello spazio. Non ci sono segni, né ripetizioni, ma in questi lavori Accardi ritorna al colore e a temi a lei cari quali il movimento, la relazione con lo spazio, l’attraversamento.
Successivamente, alla fase del sicofoil, durata circa un quindicenno, arriviamo agli anni ‘80, ad un’ultima “famiglia di lavori” (Intervista a Carla Accardi – Trapani 1998) che si estende fino al 2014, l’anno della sua scomparsa. Questi lavori occupano il segmento conclusivo della mostra e rivelano una nuova, intensa, stagione creativa. Accardi torna alla tela, al segno, all’uso intenso del colore steso su grandi dimensioni, anche dittici e trittici. In questi lavori, fa la sua comparsa un segno grande su fondo colorato che si staglia sull’intera tela, talvolta agglomerato, in altri casi più definito. A conclusione di circa un sessantennio di lavoro, Accardi ci consegna una fondamentale ricerca sui segni e i colori della nostra immaginazione, alla cui origine vi è un profondo interesse per la vita, la sua interazione con la natura, la sua inesuribile dinamica da cui scaturisce la “musicalità” delle forme propria di questa nostra artista.
E’ questa la cifra di un lungo viaggio di cui la mostra romana è preziosa testimone.
Verde, 2007
Bibliografia
Intervista a Carla Accardi – Trapani 1998, di Claudio Cerritelli, https://www.youtube.com/watch?v=h024LCQV5vc.
M. Grazia Messina racconta Carla Accardi, https://www.youtube.com/watch?v=tBpRAQpUrBs
Carla Accardi, Quodlibet – Palazzo delle Esposizioni, 2024, pp. 691. Il catalogo, oltre all’apparato iconografico, contiene un’ampia antologia della critica. Sito