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Zvi Hecker un laboratorio di luce

Scuola ebraica a Berlino. Heinz Galinski Schule di Zvi Hecker

La recente scomparsa dell’architetto Zvi Hecker ci invita a una doverosa riflessione sul suo più importante lavoro. Ha scritto “Un vero artista fa solo ciò che non conosce, e ciò deve essere fatto in modo molto preciso”

Negli anni Novanta dello scorso secolo, nella Germania che stava ancora facendo i conti con il proprio passato e che aveva appena intrapreso il processo di riunificazione dopo la caduta del Muro di Berlino, l’architetto Zvi Hecker (1931-2023) realizzò una scuola nella capitale tedesca, innovativa tanto nell’impianto spaziale che nel sistema pedagogico. Fu la prima scuola ebraica costruita dopo la guerra. Bruno Zevi la considerò un capolavoro e affidò a Maria Bottero la stesura di un volume nella Universale di Architettura. 

La realizzazione del progetto (completatasi nel 1995, nella Waldschulallee a Charlottenburg, sul confine nord della foresta di Grunewald) durò quattro anni. Otto quaderni ricchissimi di appunti, di disegni dalle forti tinte, di vedute prospettiche e assonometriche, mostrano le metamorfosi dell’opera: il susseguirsi di pensieri con un gioco labirintico di informazioni e variazioni.

Hecker utilizzò come fondamento della sua ipotesi progettuale la forma della spirale, per trasformare in materia e spazi l’idea di un movimento: “Lo sviluppo organico della nostra mente richiede un ambiente organico, una architettura organica, lo spirito della natura incorporato nella pietra. Il mio lavoro si è sforzato di dare espressione allo spirito e all’aspirazione della mia gente. Cosa posso offrire alla comunità ebraica di Berlino, che già sia appartenuto alle lontane tribù del deserto dei nostri antenati? Posso offrire un fiore, un fiore del sole: il girasole. Il fiore più comune ma il più sofisticato dei fenomeni. Semplicità e intricata complessità, bellezza organica e precisione matematica” (Bottero 1977, p.66). 

Un disegno di studio della pianta della scuola

L’architettura suggerisce un ambiente organico che richiama la forma del girasole con un andamento opposto ai molti edifici meccanici e scatolari, nati per aderire al mondo della produzione e del mercato o ai regolamenti dell’edilizia scolastica. La scuola voleva essere legata all’idea di un universo regolato da leggi biologiche, chimiche e fisiche: una struttura metabolica i cui principi generatori assecondassero il cambiamento.

L’essenza del pensiero organico, presente nell’opera di Hecker, è la volontà di legare le complesse leggi della natura a una innovativa idea sociale, per realizzare una nuova collettività. Il rifiuto della griglia geometrica ortogonale segna il superamento di un’idea artificiale per una visione che collega l’architettura tanto all’ambiente circostante che a un paesaggio interiore, nella consapevolezza che l’architettura è molto di più della somma delle singole parti che la compongono. 

Elaborazione della struttura generativa del progetto

Pianta del piano terra della scuola

Hecker pensò la sua architettura come ricerca di articolazione degli spazi legati alla felicità psicologica e spirituale dei giovani studenti. Organico è quindi, nella sua interpretazione, un progetto sociale, non solo un’idea figurativa. 

Schizzo e impianto della scuola   

La forma della spirale e il tema della linea senza fine rappresentano un’idea che trova forti contatti con le ricerche futuriste e costruttiviste. A differenza dei cubisti (che, girando intorno al modello ritraggono una serie di immagini, che vengono successivamente sovrapposte nella tela) sono proprio i futuristi italiani e poi i costruttivisti russi che, partendo invece dalla convinzione che il mondo sia costantemente in movimento saettando attorno a noi, colgono la terribile emozione di una realtà dinamica che sempre ci sfugge. 

Boccioni nelle “Forme uniche della continuità dello spazio”, opera realizzata nel 1913, ferma in un’unica immagine la successione del moto di una forma, creando una continuità dinamica del movimento. L’artista studia gli effetti di deformazione che il corpo scultoreo subisce per effetto della velocità, anticipando di diversi decenni tematiche che l’architettura di Zvi Hecker ha fatto proprie.          

Nel 1973 Bruno Zevi, su Cronache di Architettura, nell’editoriale “L’architettura del dinamismo plastico”, riporta un pensiero di Boccioni: “Abbiamo detto che in pittura porremo lo spettatore al centro del quadro facendolo cioè centro dell’emozione invece che semplice spettatore. Anche l’ambiente architettonico della città si trasforma in senso avvolgente. Noi viviamo in una spirale (corsivo nostro) di forze architettoniche”. Aggiunge il critico romano: “Se l’invito a ‘scomporre’ le facciate rimanda al neoplasticismo olandese, l’ambiente ‘avvolgente’, a ‘spirale’, prelude a Tatlin, all’avanguardia sovietica” (Zevi 1979, p. 31). 

Hecker recupera questa dimensione e la disvela, dando, con questo progetto, un nuovo senso alla storia della cultura berlinese. Analizzando la planimetria della scuola ebraica, un elemento viene ripetuto e ruotato, nella sua dimensione concettuale e spaziale, intorno ad una serie di assi: è una struttura policentrica, quasi a richiamare un effetto stroboscopico di duchampiana memoria. È questa l’energia che si legge nel progetto della Heinz Galinski Schule: una forza centrifuga. Il lato più affascinante di quest’opera risiede in un’anomalia: lo schema di analisi di partenza si basa su un sistema di costruzione geometrico – matematico che trova la sua ragion d’essere nel mondo dei cristalli e delle forme naturali, ma che viene costantemente rielaborato dalla mente dell’architetto; è quasi un “instant book” di pensieri, di annotazioni, di continui ripensamenti, con la volontà di superare la struttura di partenza, perché il progetto è un percorso che non trova fine. Macro e microcosmo insieme: una doppia realtà, al tempo stesso solida e precaria.

Modello dell’impianto della scuola

Così Hecker realizza quest’opera dove il visitatore, posto nel cuore dello spazio circolare, viene coinvolto in una realtà che sfugge alla sua capacità di relazionarsi in maniera univoca. Costruisce un sistema percettivo che disorienta l’osservatore in un’architettura multisensoriale leggibile a più livelli interpretativi, pensata per indicare tanto al visitatore che al fruitore abituale nuove prospettive di riflessione e di catarsi. 

È un’opera che ha anche una componente onirica se non metafisica, come in certe opere di De Chirico, quando, all’interno di uno stesso scorcio prospettico, coesistono più punti di vista e quindi più punti di fuga. Nel pittore italiano è un disorientamento prospettico; ma lo spazio di Hecker in più è dinamico, fluttuante e sfuggente. Impossibile è trovarvi un equilibrio stabile. 

Il risultato lascia lo spettatore in una situazione di sorpresa. Ma chi legge la pianta e chi vede la costruzione coglie una realtà completamente diversa; non è un caso che molte fotografie della scuola siano foto aeree, perché non è possibile cogliere l’opera nel suo insieme. Come nel Museo ebraico di Libeskind a Berlino, Hecker sceglie la strada della comprensione parziale, della lettura episodica, volontariamente destrutturata, nell’intento di cogliere momenti, attimi, sensazioni. 

È l’elogio e l’evocazione della storia marginale, contro la lettura assoluta e univoca di una storia scritta dal potere. La composizione viene pensata per amplificare e rendere significativi passaggi e angoli prospettici che si trovano nei punti di confine, di frontiera. Questa volontà di raccontare episodi parziali è quasi dire che la realtà non può essere colta più nella sua totalità: una deframmentazione dell’esistenza. Ordine, disordine? Ma l’opera di Hecker supera la dicotomia: la dimensione profonda del progetto è costruita su una struttura estremamente ordinata, pensata per raccontare una realtà molteplice e stratificata. 

Vista dello spazio centrale della scuola

Emerge da questo progetto il recupero, come abbiamo anticipato, di una dimensione simbolica. La visione di insieme, fratturata e dinamica, è anche il simbolo della lacerazione della Shoah. Non è un caso che questa opera sia dedicata all’insegnamento e allo sviluppo conoscitivo infantile per tramandare la memoria e creare una nuova speranza: “L’educazione come conoscenza è la luce che illumina la mente dei bambini” (Bottero 1997, p. 66). La forma non può essere una scatola semplificata, deve diventare una scultura vivente. La metafora del girasole, che capta la luce a tutte le ore, illumina la creatività dei ragazzi che qui studieranno, come una meridiana che segna il tempo contemporaneo.

La struttura dell’edificio scolastico è composta da cinque corpi cuneiformi, che ruotano intorno ad uno spazio centrale, circolare, luogo di incontro, carico, come è facile immaginare, di mille rimandi. 

Nell’anello circolare è presente uno degli alberi dell’area. Per Hecker questo è il vincolo alla vita e punto di partenza della composizione. Il vuoto rappresenta il luogo della memoria comune, il significato profondo di ciò che è la vita comunitaria. Nelle culture arcaiche il luogo assembleare era costituito da una forma circolare, segno di democrazia e uguaglianza. 

Negli interni vi è una grande libertà espressiva, ma soprattutto permea l’architettura un pensiero ancora più grande: è progettata come essa stessa fosse una città, con strade, percorsi e luoghi collettivi. È un microcosmo urbano, un’architettura pensata e realizzata come stratificazione di esperienze successive. L’uso di materiali diversi, come le superfici di calcestruzzo, i serramenti in legno, le lamiere di acciaio corrugate, è un elenco di possibilità che l’architetto usa per emozionare i sensi, nella volontà di proporre letture dove passato e futuro si compenetrano in una singola visione.

Dal punto di vista espressivo c’è la volontà di creare ombre nette, originate da piani verticali essenziali. I cinque volumi primari sono attraversati da travi in acciaio, che hanno la funzione di illudere il sistema di attesa dell’osservatore. Sono elementi precari, pensati per collegare semanticamente tutti gli ambienti della scuola. Serpenti dalla pelle d’acciaio uniscono i volumi cuneiformi. La scelta è di avere passaggi-corridoi che leghino le varie attività della scuola. A differenza di un movimento sequenziato e ordinato di spazi, questa circolazione, aperta e casuale, dei percorsi a serpentina provoca momenti di pausa, riflessioni e scoperte.

Modello di studio

La Heinz Galinski Schule è un centro di energie in espansione lungo gli assi di una spirale, come la vita di un fiore o come le galassie dell’universo. Ordine e disordine hanno gradi di complessità speculari. Zvi Hecker con questo capolavoro disegna la forma di un principio. 

   

Bottero 1977 – Maria Bottero, Zvi Hecker. Scuola ebraica a Berlino, Testo&immagine, Torino 1997

Zevi 1979 – Bruno Zevi, Cronache di architettura, n. 17 (953-1012), Universale Laterza, Roma-Bari 1979

                 

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