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Storia e Critica

Piccolo Manifesto per il 2018

La Cultura

Negli ultimi trent’anni, uno dei maggiori aspetti che hanno influenzato pressoché tutto il mondo accademico riguarda la rivalutazione delle culture e l’esaltazione delle loro diversità, senza nessuna distinzione di merito. La filosofia ermeneutica prima, e quella post moderna seguente, hanno di fatto cancellato la possibilità di conoscere e perseguire un solo sistema di valori, legittimando il relativismo fino alla falsificazione della realtà. Questo ha prodotto la rivalutazione del localismo, del regionalismo, dei nazionalismi e di altre cose poco nobili a cui stiamo assistendo in tutto l’occidente.
Il tema è quindi quello di recuperare i valori universali e porli a fondamento di ogni cultura. Amore ed odio, ammirazione o invidia, o qualsiasi altro sentimento che riempie la letteratura di tutti i tempi, appartiene ad ogni uomo, di tutte le razze e religioni. Esiste quindi una sola Cultura, ed è quella che unisce, quella che cerca le similitudini, non quella che divide e cerca le differenze. Esiste una sola Cultura capace di trasformare il particolare in universale, come l’arte in genere sta a testimoniare.

La Storia
Noi veniamo da una concezione della storia che possiamo definire “sostitutiva” , che vuol dire “ciò che è nuovo deve sostituire ciò che è vecchio”. Una sorta di processo naturale in cui l’umanità è costretta in un cammino che spesso non può scegliere.
Per alcuni un cammino già scritto nella logica delle cose (il materialismo), per altri destinato da qualche entità sovrumana (la religione) o semplicemente per la capacità degli uomini di adattarsi alle situazioni. Tutte queste concezioni hanno però in comune la convinzione di doversi togliere dai piedi il passato. Questa convinzione, in particolare, tradotta in ideologia, ha prodotto i disastri del novecento.
La foga innovatrice, malgrado i deleteri ripensamenti nazionalistici del secolo scorso, è arrivata fino ai nostri giorni, spaventandoci. Tanto che la paura di perdere la nostra memoria ci costringe oggi a difendere qualsiasi documento che ci arrivi dal passato.
Ma cosa dobbiamo conservare?
La storia, che è fatta di fatti, o la memoria che è fatta di ricordi?
Si dice che il compito dello storico sia quello di preservare la storia dagli assalti della memoria. Che tradotto in architettura significa conservare i fatti architettonici indipendentemente dagli usi e dai loro significati. Significa conservare i segni a cui intendiamo dare valore documentale senza doverne per forza usare la funzione ed il messaggio.
Con l’avvento dell’informatica, e del web in particolare, abbiamo infine preso coscienza di una nuova concezione della storia, che non più “sostitutiva” possiamo definire “aggiuntiva”. Internet, infatti, ci ha insegnato che niente scompare ma tutto si somma. Con un motore di ricerca possiamo rigenerare fatti o parole scritte negli anni, rendendoli nuovamente attuali nella loro presenza: un grande archivio universale sempre consultabile contemporaneamente e in modo ubiquo.
Nella storia, quindi, i fatti si sommano senza la necessità di far scomparire nessuno. In architettura, questo vuol dire concedere la possibilità ai nuovi spazi d’invadere quelli antichi, sovrapponendosi o incrociandosi o fondendosi con essi.

L’Arte
Un’ultima riflessione riguarda l’arte, a cui l’architettura deve una buona parte della sua esistenza.
Molti ritengono l’architettura un fatto primariamente tecnico, sociale o professionale.
Io personalmente considero l’architettura un fatto principalmente artistico, con il compito preciso di forgiare il gusto mediante la sperimentazione del linguaggio. Non intendo con questo una celebrazione della propria autostima, ma un vero percorso di ricerca in quello che considero il principio dell’architettura, che è lo spazio e la sua creazione. Un architetto, per uno zeviano, non disegna cose, oggetti, ma progetta situazioni, strategie da abitare, luoghi in cui vivere. Progetta una sorta di racconto in cui muri, pilastri, vetrate, pavimenti, sono le parole che insieme scrivono una storia unica. Ma il senso della storia, del racconto, non sta mai nelle parole, ma nelle frasi e in come le si compongono. In questo credo stia l’arte: nel “come” e non nel “cosa”.
L’arte infatti non ha valore in sé, ma ha il valore che noi le affidiamo.
L’arte contemporanea ci ha insegnato che possiamo dare molto valore a cose che in realtà, materialmente, non ne hanno. E questa considerazione apre tutto un universo di possibilità. L’importante, per l’arte, è che anche materiali e cose di poco valore, una volta “artefatte” contribuiscano alla crescita del gusto, perché modificare il gusto significa educare al cambiamento e quindi alla tolleranza. Virtù di cui abbiamo particolarmente bisogno ai nostri giorni.
In questo sta essenzialmente l’altissimo valore etico di una cosa apparentemente inutile come l’arte.
Nella speranza di non aver tediato nessuno, auguro un buon Natale e buon anno a tutti, e che giorni felici riempiano la nostra vita futura.

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