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La banda degli onesti

In un articolo sulla prima pagina del Corriere della Sera di gennaio, a proposito dei Professori universitari, Pietro Ichino, scriveva: “La realtà è che nell’Università italiana efficienza e produttività sono gradite, ma non obbligatorie […] Così come è strutturata oggi, la cattedra universitaria costituisce una sorta di carica onorifica”.
Conclude l’articolo una considerazione difficilmente non condivisibile: “Occorrerebbe, per voltare pagina, stabilire che anche i professori universitari possono perdere il posto”.
Ichino si riferisce ai professori ordinari e associati, quelli che non si possono licenziare.
Ciò che Ichino tralascia è di parlare del sottobosco del corpo docente universitario, quello formato da cultori della materia -più comunemente definiti quot;assistenti”- e dai professori a contratto.
L’inefficienza universitaria coinvolge anche loro e non li esenta da precise responsabilità nelle cause della stessa.
Chi attua il sistema dell’arruolamento dei neo laureati nel mondo dell’insegnamento è direttamente responsabile delle deficienze che l’inesperienza dei giovani assistenti causa al sistema didattico.
Il compito di un professore di ruolo è insegnare e verificare la preparazione dello studente; il professore di ruolo, in virtù dei concorsi affrontati per conseguire tale titolo – che, tranne poche eccezioni, fingiamo di credere assolutamente esenti da ogni tipo di clientelismo- è legittimato ad esprimere e trasmettere il proprio pensiero agli studenti, e verificarne il profitto.
Domanda: se tutto ciò lo fanno anche gli assistenti reclutati dal professore titolare – a sua discrezione- che motivo c’è di doversi sottoporre a concorsi e ad anni di studio per potere insegnare? E se i Consigli di Facoltà elargiscono incarichi didattici a questi stessi assistenti, equiparandoli di punto in bianco ai Professori di ruolo, con che tipo di criterio lo fanno?
Di più: come si può valutare la preparazione di assistenti e incaricati ?
Una volta assorbiti all’interno di un corso universitario, gli assistenti hanno, praticamente, lo stesso ruolo del docente titolare: fanno lezione, correggono alle esercitazioni, esaminano gli studenti e li valutano. Il più delle volte, tutto ciò è fatto singolarmente, senza che vi sia la supervisione del docente titolare. Indubbio che possa capitare qualche caso di neo- laureato/assistente che abbia capacità tali da essere assolutamente idoneo a spiegare, correggere, valutare. Ma la stragrande maggioranza non lo è, quantomeno per poca esperienza didattica.
Da qui il primo danno allo studente che, dando credito a chi è delegato a comunicare con lui (ma potrebbe fare altrimenti?), si trova spesso ad avere a che fare, appunto, con personaggi incapaci od inesperienti.
Oltre la questione del danno didattico, mi chiedo che senso abbia arruolare i neo assistenti senza alcun controllo da parte degli organi preposti.
Ogni docente di ruolo ha la libertà di chiamare chiunque ad assisterlo e, conoscendone le capacità, gli assegna un ruolo assolutamente importante.
L’assistente si arma di santa pazienza e, facendone una virtù, attende che passi qualche anno, sin quando arriva il momento di potere presentare un curriculum didattico/scientifico che gli consenta di ottenere il ruolo di professore a contratto. E’ compito dei Consigli di facoltà dare il consenso alle candidature.
Questo, in breve, è il percorso che si svolge parallelo alla carriera universitaria ufficiale.
Tutto questo sottobosco non è però controllato. Perché? Ecco un interrogativo sul quale non si pone quasi mai l’accento. Quasi mai, perché il Politecnico di Milano, Facoltà di architettura I, lo ha fatto. Per l’anno accademico 2000-2001 sono state stilate delle “liste ‘idoneità” per potere essere incaricati come contrattisti.
A mezzo di un lavoro di cui non conosco la puntigliosità – ma perché avere dei dubbi…?- il Dipartimento di Conservazione ha verificato l’idoneità di chi ne ha presentato richiesta. Tutti idonei i candidati, ma è capitato che l’arch. Paolo G.L. Ferrara venisse dichiarato “idoneo, ma solo perché già incaricato”.
Per farla breve, il Dipartimento si è accorto che il candidato in questione non era in grado di “documentare la capacità di analisi e di sintesi […] oltre alla capacità di trasmettere in modo efficace il suo pensiero”.
Bene, finalmente qualcuno che ha scovato imbrogli ed imbroglioni, ma con un piccolo particolare da sottolineare: come mai al sig. Paolo G.L.Ferrara è stato consentito di fare il cultore della materia per sette anni e, non contenti, gli è stato affidato per ben quattro anni un incarico da Professore a contratto? Con quali criteri il Consiglio di Facoltà ha potuto conferire al Sig. Ferrara tali incarichi, vista e considerata la sua presunta incapacità d’insegnare?
Ipotesi A : il Dipartimento ha ricevuto segnalazioni di protesta tali nei confronti del Sig.Ferrara che non ha potuto fare a meno di sancirne l’incapacità a ricoprire il ruolo che gli era stato assegnato. Comportamento assolutamente legittimo e meritevole di lode. Ai circa 3.500 studenti che hanno avuto la sventura di avere a che fare con Ferrara , vanno le scuse del Politecnico: “ci siamo sbagliati, ci dispiace, capita”.
Ipotesi B: chiunque può candidarsi per un incarico didattico e, avendo le giuste sponsorizzazioni, può arrivare ad avere un contratto d’insegnamento. Presumibilmente il Sig.Ferrara le aveva ed ha potuto fare il bello ed il cattivo tempo, tra l’altro a spese della omunità. Ad un certo punto, non le ha più avute, quindi…kaputt.
Ipotesi C: il Sig. Ferrara era elemento di disturbo, fuori dalle righe. Lo si doveva fare fuori. Ipotesi assolutamente fantascientifica, perché queste cose non accadono… Le università – è risaputo- sono assolutamente immuni a questi giochi di potere. Forse.
Qualsiasi sia l’ipotesi, resta il fatto che i 3.500 studenti di cui sopra avrebbero il diritto di sapere che razza di servizio abbia loro dato il Politecnico di Milano, incaricando il Sig.Ferrara senza che ne avesse titoli meritori.
A dirla tutta, gli studenti avrebbero diritto ad un rimborso dei danni subiti ed il Sig.Ferrara l’obbligo di risarcire il Politecnico dei soldi ricevuti per svolgere gli incarichi didattici. Resta da vedere che tipo di responsabilità dovrebbero assumersi coloro i quali gli assegnarono incarichi didattici; una responsabilità potrebbe essere il non essersi informati bene sul suo conto, ma ciò evidenzierebbe l’approssimazione e la leggerezza con cui si gestisce gran parte dell’università italiana.
Bene, questa è storia vera, dunque potrebbe non essere un episodio casuale.
Ricapitoliamo: Ferrara si laurea, diventa immediatamente cultore della materia e, dopo sette anni, riceve per quattro volte consecutive -su segnalazione del Consiglio di Facoltà- incarichi didattici direttamente dal Rettore del Politecnico.
Improvvisamente, si decide di compilare le liste degli idonei e – ma guarda un po’!- ci si accorge di avere dato incarichi a chi non ne aveva i requisiti.
Ferrara è disperato, tenta anche il suicidio mangiando tre pizze ai formaggi con aggiunta di prosciutto cotto. I tentativi non vanno a buon fine e, messosi a dieta, Ferrara inizia a ponderare il tutto. C’è chi gli dice “dai, lo sai che sono tutti giochi politici” oppure ” vedrai che il prossimo anno ti riprenderanno. Tu fai finta di niente. In fondo, anche tu sei entrato per i giochini interni…”
Ferrara non è dello stesso parere, soprattutto perché non si rende conto che senso abbia essere considerati non idonei all’insegnamento ma continuare ad essere inseriti nelle Commissioni di laurea. E’ paradossale, come paradossale è il risultato delle schede di valutazione didattica compilate dagli studenti: quasi il 90% ha gradito il corso di Ferrara. Che dire di questi studenti se non che, probabilmente, si trattava di “mono- neuronici”.
Ho terminato il mio incarico didattico con gli esami dell’ultima sessione 1999/2000.
Avrei potuto rendere pubblico l’avvenimento all’indomani della lettera del Dipartimento( aprile 2000), ma avrei coinvolto gl’incolpevoli studenti in mie questioni personali. Anche ora ne avrei fatto a meno, ma un’intervista -apparsa sul Corriere della sera del 21.02.2001- mi ha tolto ogni remora.
Leggendo quanto affermato dal nuovo rettore della “Cattolica”, Prof. Sergio Zaninelli, sembrerebbe che i problemi universitari non risiedano nel nepotismo e nelle baronie : ” Le vere figure di riferimento di una università sono i maestri. Piuttosto il problema è un altro[…] Se, tanto per cominciare, venisse abolito il valore legale del titolo di studio, si consentirebbe un confronto tra le università che sarebbero poste in grado di attirare e formare gli studenti migliori, con vantaggi indubbi anche sul piano della formazione di generazioni sempre nuove di ricercatori”.
Capito bene? Sorvoliamo sul nepotismo e le baronie e centriamo l’attenzione su un altro problema: perché non creare università di serie A e università di serie B ? Con questo sistema non ci sarebbero problemi di preparazione precaria… Incalza Zaninelli :”…in questo momento la laurea conseguita in un’ università di eccellenza, così come in quella che di eccellenza non è, hanno lo stesso valore, in sede di concorso pubblico”.
Affermazione sbalorditiva, soprattutto se fatta dal rettore di una Università prestigiosa. Affermazione inaccettabile.
In uno Stato di diritto, ogni cittadino deve potere beneficiare di strutture funzionanti didatticamente, in qualsiasi luogo si trovino. Secondo il prof Zaninelli vale il contrario: chi si laurea in università che non hanno un “nome”, non può avere gli stessi diritti di un laureato “eccellente” al momento di affrontare un concorso pubblico.
Dunque, invece di accrescere ( vedi la Francia e le unità pedagogiche) il numero di facoltà -dotandole tutte in uguale misura- per consentire a chiunque lo voglia di potersi laureare, dobbiamo allargare la forbice dei privilegiati e dei penalizzati: secondo il prof. Zaninelli, avremo -finalmente!- una ricerca seria, perché seri e preparati saranno i laureati d’eccellenza. Inconcepibile. Invece di pensare a creare un corpo docente assolutamente preparato, da potere smistare in tutte le università, ecco che il Rettore della Cattolica non nasconde la soddisfazione che “…le famiglie di tutto il Paese […] scelgono per i loro figli, pur con sacrificio, il nostro Ateneo”.
Siamo così sicuri che all’interno delle università d’eccellenza insegnino personaggi preparati?
Chissà cosa penserebbe il prof. Zaninelli se sapesse dell’ illustre Sig. “nessuno” Ferrara che ha insegnato per undici anni al Politecnico di Milano ( indubbiamente, università “eccellente”).
Avere raccontato un fatto personale non significa, necessariamente, che io sia esente da colpe: quando presentai i miei titoli per la candidatura, avrei forse dovuto supporre che il Consiglio di facoltà non li avrebbe scandagliati attentamente; avrei dovuto rifiutare gl’incarichi per coscienza personale. Fatto sta che non ho imposto la mia candidatura. Da parte mia, prendendo atto di quanto deciso dal dipartimento e dal Consiglio di facoltà, non ripresenterò mai più candidature per incarichi didattici; se mai dovessi rientrare in una facoltà di architettura ( magari “d’eccellenza”…!) lo farò esclusivamente dopo avere affrontato i concorsi che possano legittimare il mio diritto ad insegnare. Quelli, è risaputo, sono “puliti”, senza ombra di nepotismo e di baronie.
Il prof. Zaninelli ne è sicuro ed io, illustre sconosciuto, non posso che credergli.
Le “grandi orchestre” sono quelle d’eccellenza; io e tanti, tanti altri, siamo solo una banda. Ma una Banda degli onesti. Si, proprio quella di Totò e Peppino.


(Paolo G.L. Ferrara – 18/2/2001)

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