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Storia e Critica

I monelli dell’architettura italiana

La sensazione è in chiunque s’interessi seriamente di architettura.
Sensazione – finalmente!- di libertà d’espressione, senza dovere necessariamente prestare il fianco agli attacchi sui “come” ed i “perché” della legittimità delle nuove poetiche architettoniche.
Nuove poetiche che non sono nate dal nulla -da una ipotetica tabula rasa- ma sono figlie dirette della crisi della modernità, del suo valore.
Questo è un dato di fatto, solo apparentemente scontato.
A differenza della tendenza degli “architetti della solidità” – così come, nel Dizionario Sirkia appena uscito, Vittorio Magnago Lampugnani ha definito Ungers, Krier e gran parte dei razionalisti accademici- proiettati nel decretare il superamento della crisi della modernità effettuando un salto ante modernità ( e asserendo che i fatti dimostrano quanto labile sia tutta l’architettura oltre i loro rigorosi modi), c’è chi si spinge a scandagliare quanto la modernità sia viva nelle ricerche contemporanee e quanto dalla sua crisi si possa trarre giovamento.
Atteggiamento da apprezzare perché, a prescindere dagli indirizzi che connotano le ricerche, tende ad evitare che si parli delle nuove poetiche esclusivamente in termini di mode effimere.
Siamo stati – soprattutto le generazioni nate tra il 1960 ed il 1970- didatticamente educati a periodizzare la storia dell’architettura: è stato un danno enorme per tutti e solo pochi critici e storici -della nuova generazione- stanno lavorando per andare oltre qualsiasi certezza dettata dai testi e dalla didattica universitaria, per la maggior parte ammuffita su posizioni accademiche.
Lo spirito nuovo che sta alla base della ricerca critica sull’architettura è connotato dalla mancanza di qualsiasi enfasi, di qualsiasi proclama di verità e certezze. Lo spirito nuovo è lo spirito della critica giovane, con un passato da scandagliare ed un presente da verificare. Una critica giovane che trova in alcuni “vecchi” assoluto appoggio ed esperienza a cui fare riferimento. Il sito del Prof. Francesco Tentori (IUAV) ne è dimostrazione.
Il critico deve prendere posizione e non dare certezze, stimolare e non azzerare.
Dopo “This is tomorrow”, Luigi Prestinenza Puglisi ci propone “Silenziose avanguardie” – testo più “diretto” rispetto a This is tomorrow – , continuando il suo cammino nell’architettura della seconda metà del XX secolo, per rintracciarvi i geni della contemporaneità.
Prestinenza Puglisi traccia un percorso che, se analizzato attentamente, ci conduce alla negazione di se stesso: non c’è un unico percorso, ma molteplici. Ciò che viviamo oggi non è figlio di un unico filone, stabilito rigorosamente da qualcuno; finalmente liberi da ogni obbligo di dover distinguere – a priori- ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, possiamo analizzare e comprendere i diversi atteggiamenti della contemporaneità senza essere succubi di precisi dettami.
La cautela con cui si deve leggere Puglisi – e chiunque altro- è fondamentale per la giusta comprensione di quanto espresso dal critico. Ognuno di noi deve trarne le conclusioni – o le continuità- che crede opportune.
Cautela che non significa accettazione in toto di ciò che leggiamo, ma che deve indirizzarci ad un’analisi attenta ed a contraddittorio propositivo
Essendo in corso – questo deve essere tenuto presente- la ricerca è soggetta ad improvvise variazioni, collegate ad avvenimenti in divenire che, una volta conclusi, potrebbero farci vedere le cose in modo diverso.
Dalle pagine di Antitesi avevamo incitato al coraggio (vedi articolo “Il coraggio”) di esporsi da parte di chi desidera imbattersi nel campo della critica e della didattica.
Stiamo avendo conferme puntuali.
Luigi Prestinenza Puglisi scopre le sue carte e ci parla di un mondo assolutamente in fermento, rilevando
tra le righe che certezze non possono più essercene, e che la critica non può più darsi dei precisi confini, riducendosi a registrare ed incasellare i diversi avvenimenti.
Come detto, gli scritti di Prestinenza Puglisi non devono essere accettati quali verità assoluta, bensì nella loro veste di stimolo. Del resto, leggendo i passaggi pubblicati su Arch’it, posso dire con certezza che è questo il vero obiettivo dell’autore.
Da Torino, da Milano, da Venezia, da Roma, ci scrivono studenti d’architettura. Sono pochi e si autodefiniscono “cattivi studenti”.
Vediamo, seguendo la loro spiegazione, cosa significhi essere un “cattivo studente”.
In primo luogo, significa essere “ineducati” architettonicamente; interessarsi alle nuove poetiche -e a chi le esprime attraverso le opere- può essere pericoloso poiché – da alcune di esse- si profitta un atteggiamento “diseducativo”. L’affermazione è di Vittorio Gregotti ed è riferita a F.O.Gehry.
Se scorressimo le bibliografie di numerosi docenti sparsi un po’ in tutte le facoltà d’architettura, troveremmo i libri di Gregotti: va da sé che il potere diseducativo esercitato da Gehry è evidenziato anche all’interno delle facoltà.
Scrive Gabriele da Torino : ” Gregotti dice che Gehry è geniale, ma di alto potere diseducativo [ un genio del male (n.d.r.)] per gli studenti ed ha ragione in pieno, perché si rischia di capire e amare quanto veramente gioiosa e creativa possa essere l’architettura, e questo, in Italia e nelle università italiane, è peccato “.
Vero, Gabriele, ma non solo nelle università.
Il potere altamente diseducativo lo troverai anche al di fuori delle università, ma si tratterà del potere della corruzione e del clientelismo. Ma questo è un altro discorso.
Il problema dell’andropausa degli architetti italiani ( è definizione di Bruno Zevi) è lungo cent’anni.
Boccioni affermava nel 1914: “I giovani della nostra generazione, guardando lo sviluppo dell’arte italiana nel secolo decimonono, debbono arrossire di vergogna e piangere di disperazione. E’quasi incolmabile l’abisso di ignoranza, di vigliacca apatia, che separa l’Italia, chiamata con ironia archeologica il paese dell’arte, dalla sensibilità estetica degli altri paesi civili. Chi oggi considera l’Italia come il “paese dell’arte” è un necrofilo che considera un cimitero come una deliziosa alcova” […] In Italia non manca il denaro, non manca la forza: mancano i cervelli moderni”.
Drastico e sferzante, Boccioni potrebbe essere attuale anche oggi, ma con l’eccezione fondamentale che i cervelli moderni ci sono, e sono tanti. Si trovano anche dentro le Università e ne sono i futuri propulsori.
A loro non manca ciò che Zevi sottolineava a proposito della situazione italiana degli anni ’70 -’80 : ” lo scatto dell’avventura,del rischio, della flagranza inventiva” è palpabile, riconoscibile.
Su Antithesi ne registriamo il tentativo di riportare – e farla restare- la nostra presenza attiva in campo internazionale.
L’impalcatura che maschera le fragilità della didattica universitaria è fatta di parolone enfatiche e di atteggiamenti intellettuali retorici: ma sta per crollare, minata com’è da giovani docenti che hanno intuito i significati profondi della libera cultura.
Gabriele ci racconta dell’incitamento di Zevi a lasciare le università, di uscire per propria scelta dalle acque stagnanti.
Lo diceva a tutti, ma – sottolinea Gabriele- senza dare suggerimenti su come avremmo potuto esercitare una professione e l’impegno che ci permettesse parlare di architettura. Vero, non lo diceva in forma di vademecum, ma tra le righe delle sue sadiche lettere ( che tanto “piccoli” ci facevano sentire…)
Il suo modo di farci amare l’architettura era indirizzarci a capire l’architettura, oltre qualsiasi istituzione preposta a farlo.
Le acque stagnanti si muovono e, con un paziente lavoro, riprenderanno ad essere ossigenate.
Per lo scopo è necessario ogni sforzo, da chiunque provenga.
Nomi ? Eccoli : New Italian blood, sito che riunisce giovani architetti senza “peli sui progetti”, senza paure ataviche di doversi, per forza, creare consenso a tutti i costi. Inutile ripetere che ogni cosa debba essere pesata e che qualsiasi slancio passionale comporta il rischio di non fare comprendere limiti ed errori ( vale, ovviamente, anche per Antithesi). Chi fa ricerca è passibile di errore.
Comprensibile atteggiamento quello dei “cattivi studenti”, ma è fondamentale che comprendano quanto sia inutile e dannoso piangersi addosso.
A Gabriele, ed a tutti i “cattivi studenti”, consigliamo di leggere di tutti coloro i quali hanno qualcosa da dire, accademici compresi. Sapranno, da soli, fare le giuste deduzioni.
Scopriranno la vivacità e gli spunti che scritti quali quelli di Antonino Saggio (vedi Arch’it , coffee break) possono darci per ragionare sulla contemporaneità. Di Puglisi abbiamo già detto.
Antithesi ? Chi la legge, lo fa per scelta dei contenuti e, se non concorda, ha la possibilità di replicare.
Antithesi è di chiunque voglia gridare, ma facendosi capire.
Studenti, critici e architetti, della nuova generazione, “cattivi”? No, piuttosto “monelli”, molto.

(Paolo G.L. Ferrara – 2/3/2001)

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