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Ventuno anni gattopardeschi di Università

Capita spesso di sentirsi dire che l’Università non fa ciò che dovrebbe: cultura.
Quando, nel 1979, Bruno Zevi lasciò l’Università con quattordici anni d’anticipo rispetto l’età pensionabile, vi fu un vespaio di polemiche sulla sua scelta, soprattutto in merito alle motivazioni.
Al di là di tutto, le suddette polemiche manifestarono che ancora vi era interesse sul ruolo degli Atenei, visti quali sede di produzione culturale che, però, la protesta di Zevi riduceva a luoghi in cui vigevano:


1. il corporativismo dei professori, ordinari ed incaricati;
2. la massa degli studenti che si laurea in stato di analfabetismo;
3. la burocratizzazione e la sclerosi degli organismi preposti all’università;
4. un’ “industria culturale universitaria” sempre più squalificata e dannosa alla libera cultura.


Ventuno anni sono tantissimi e sembrerebbe impossibile che niente sia cambiato. Vediamo.
Esiste ancora il corporativismo dei professori? Si, indubbiamente. L’iter delle carriere universitarie è, nella maggioranza dei casi, uguale a quello di tutte le altre; non vi entriamo in merito – dovrebbe farlo chi è preposto ad elargire cattedre, in primis il Ministero- : viviamo solo della speranza che chi “conquista” una cattedra abbia la preparazione per potere trasmettere agli studenti i giusti input per “fare cultura” . Come fare per provarlo? Dare voce attiva agli studenti, non con schede di valutazione sulla didattica con firma facoltativa – firmando, il timore di ritorsioni è altissimo- , bensì con la loro interazione durante le lezioni.


Lo studente non deve essere costretto a seguire la didattica, ma deve essere coinvolto in essa e da essa stessa stimolato, incuriosito. Nel salto qualitativo deve necessariamente esserci l’ interazione tra docenti e studenti. Senza ciò, vi sarebbe il perdurare dello stato di analfabetismo in cui si laurea la massa degli studenti. Cosa s’intende per analfabetismo? Esclusivamente il non sapere leggere l’architettura, lacuna causata dall’insegnamento della storia in senso nozionistico e non secondo una lettura spaziale dell’architettura. Caso tipo: almeno l’80% degli studenti di quinto anno non sanno assolutamente rintracciare nel passato poetiche attuali, intendendo la storia quale suddivisione in “stili”.

(Paolo G.L. Ferrara – 31/8/2000)

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