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Storia e Critica

La poetica dell’incidente stradale

Che gli incidenti stradali avessero una loro poetica è cosa sfuggita quasi a tutti, ma non al Prof. Paolo Portoghesi.
Verrebbe voglia di provare a schiantarsi a 200 km/h per vivere le sensazioni poetiche che ne potrebbero scaturire. Ma non credo sia una buona idea…
Eppure, nel Suo libro “ I grandi architetti del novecento” *, Portoghesi ci parla di Gehry
<< prigioniero di una maniera convenzionale fatta di smembramenti esplosioni vivisezioni lamiere contorte e violenze di ogni genere che configurano una sorta di “poetica dell’incidente stradale”>>.
Macabro Gehry!! Deve proprio essergli successo qualcosa di strano; sembra che la Sua psiche sia andata a pezzi dopo essere stata ben lucida nel progettare la Loyola Law School di Los Angeles dove, secondo Portoghesi, espresse il culmine della sua creatività <<…vincendo la ritrosia verso l’eredità storica, l’architetto usa non solo archetipi volumetrici, ma anche archetipi tipologici (il tempio, il portico, la cappella romanica, le colonne) (…) Ciò che nella Law school rende particolarmente significativa l’opera di disgiungimento e di rimontaggio è infatti la dipendenza delle forme da convenzioni consolidate>>.
Dal Vitra in poi, sempre a detta di Portoghesi, la fuoriuscita di Gehry dai binari del giusto percorso (?!) non ha avuto limiti ! Ma meno male! Evviva! Finalmente qualcuno che ha avuto il coraggio di continuare lo scardinamento delle regole, qualcun’altro che è andato oltre tutte le enfasi riguardanti la crisi dell’architettura! Ma come Michelangiolo, come Borromini, come Gaudì, come Mendelshon, anche Gehry è riposto dal suo ruolo di architetto e annoverato tra gli scultori, e lo dice Portoghesi, parandosi però dietro una escusatio che non ha alcun riferimento alla verità :
<< Tra i critici che plaudono al superamento della architettura e il suo approdo nella scultura la palma spetta senz’altro a Bruno Zevi>>.
Sorge il sospetto che non sia il Gehry post Strada Novissima il bersaglio di Portoghesi, bensì Bruno Zevi; affermare infatti che il grande critico, recentemente scomparso, annoverasse l’architettura di Gehry in ambito scultoreo significa gettare fango su tutta la Sua attività e ricerca critica, da sempre imperniata nel fare comprendere che l’architettura è spazio dinamico, spazio esterno/interno e che la scultura è altro.
Di più : coinvolgere in questo giochino al massacro le “Sette invarianti” zeviane, che secondo Portoghesi conducono << …in un vicolo cieco >> e che coinvolgono <<… in questa liquidazione della eredità morale del movimento moderno proprio gli architetti che la costruirono consapevolmente è veramente un segno d’imprevedibile cecità>>, è operazione assolutamente riduttiva e non degna di un critico dell’architettura dello spessore di Portoghesi.
Difendere a spada tratta le proprie tesi culturali e le personali posizioni assunte nel corso degli anni è cosa lecita, ma farlo con onestà culturale è altrettanto irrinunciabile.

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