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Arte e Dintorni Controrivista

Urbanicidio: Mariupol e l’assassinio della città

La vita è la priorità assoluta, le città si ricostruiscono. La vita è la cosa più preziosa, unica ed insostituibile.  Anche se c’è da aggiungere che le città ricostruite saranno altro, è indubbio che le città distrutte muoiono. Anche le città hanno una vita.  

“Uccidere le città è un crimine non tanto diverso dall’uccidere le persone, in entrambi i casi si perderà un patrimonio insostituibile”.

Uccidere le città è recidere le complesse e molteplici relazioni che si instaurano tra esseri viventi (umani, animali e piante) e i luoghi. 
La città non è una sommatoria di luoghi o di oggetti: monumenti, edifici, piazze, abitazioni, infrastrutture, non sono soltanto le relazioni tra oggetti di prossimità, tra strade-edifici-piazze e le infinite declinazioni che si instaurano e che ne scandiscono la vita, residenze, scuole, parcheggi, negozi, uffici, palestre, e ogni genere di attività umana.  
La vita delle città è qualcosa di più complesso e articolato, sono l’espressione delle molteplici relazioni, dei flussi energetici, materiali ed immateriali in continua osmosi. 
Città è anche l’immaginario, l’invisibile che aleggia tra le persone che si riconoscono, che concorrono ad interpretare in modo diverso lo spazio, i luoghi nella convivenza civile; sono le differenti culture, i sentimenti, le aspirazioni, i sogni, le ansie, gli amori e i conflitti. Sono tutti gli esseri viventi, piante e animali compresi, gli oggetti che ogni giorno ciclicamente scandiscono la vita con l’urbanità, la convivenza, la prossimità. 
Tagliare le complesse relazioni che si instaurano tra gli esseri viventi e i luoghi significa irrimediabilmente uccidere le città. 
Ciclicamente alcune città o quartieri muoiono per molteplici cause, dalle crisi climatiche a quelle geologiche-ambientali: i terremoti, le alluvioni, i vulcani. Altre catastrofi sono generate dalle azioni umane, in primis le guerre, altre forme recenti di Urbanicidio sono dovute all’esclusione, la specializzazione e il turismo di massa.
Le città abbandonate dopo una catastrofe naturale, senza che se ne operi la ricostruzione, presentano effetti similari alle distruzioni belliche, in entrambe i casi le comunità si disperdono trovando insormontabili difficoltà a ricostruire, non soltanto le case, le strade gli edifici, ma lo spirito della comunità.    
In questo periodo la forma di Urbanicidio più terribile e subdola è la guerra. Mentre scrivo, un quartiere, una casa, una scuola ucraine vengono irrimediabilmente distrutte portandosi dietro un terribile bilancio di morte, di umanità in fuga o intrappolata nelle macerie, di rifugiati negli scantinati o nei bunker. 
Proprio oggi leggo del bombardamento del Teatro di Mariupol, era il rifugio di centinaia di donne e bambini che cercavano riparo dalla guerra.  Non era una caserma, un aeroporto militare, una infrastruttura strategica, un posto dove lanciavano missili. Era il teatro della città, temporaneamente diventato fragile riparo. Tutto ciò è profondamente disumano.  
La storia dell’umanità è tristemente scandita da molteplici distruzioni delle città a da successive ricostruzioni e rinascite.
La guerra è anche, per alcuni, un’industria molto redditizia per la quale si muovono interessi indicibili che alimentano il cinismo dell’economia bellica. Produrre nuove armi per distruggere città, per poi ricostruirle, e a loro volta ri-distruggerle per ri-costruirle nuovamente, tutto sulla pelle della povera gente. 

Radere al suolo una città è una delle vendette più radicali e feroci che si perpetrano sin dall’antichità alla contemporaneità. Tale azione consiste nell’estirpare le persone, deportarle e annullare il “nemico”. Non vincerlo ma distruggerlo.  Tutto ciò avviene da tempo immemore, dalla distruzione di Troia sino alle distruzioni del 900, da Guernica, Berlino sino a Dresda. 

“La maggior parte degli storici tende a minimizzare la gravità dei raid aerei su Dresda del febbraio 1945 nei quali morirono almeno 135.000 persone.” Dresda era conosciuta come la Firenze dell’Europa orientale per numero di opere d’arte e patrimonio architettonico. La sua distruzione uccise la maggior parte dei  suoi abitanti e cancellò almeno otto secoli di storia.  
Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki sono state il grado zero della barbarie, si ha avuto la sensazione che l’uomo avesse raggiunto la coscienza della insensatezza delle guerre. 
Eppure a distanza di alcuni anni, dal Vietnam in poi c’è stato un crescendo, la guerra in Iraq, nei Balcani, in Afganistan, in Libano, in Siria, senza contare le decine e decine di conflitti africani. Il perenne conflitto tra arabi e israeliani con le devastanti distruzioni di Gaza e della Striscia con l’annichilimento dei palestinesi e la difficoltà di ricostruire ciò che viene distrutto.

Il neologismo “Urbanicidio” è stato coniato alla fine del secolo scorso con la parziale distruzione di Vukovar, con l’uccisione delle città durante la guerra dei Balcani degli anni ’90 in Bosnia, Slavonia e Croazia. La città fu assediata e annichilita, fu perpetrata la pulizia etnica al fine di estirpare per sempre ogni identità, anche attraverso la distruzione di tutti gli edifici e l’”uccisione” della città.
La feroce pratica delle distruzioni delle città, nella storia dell’umanità non ha conosciuto sosta.  Dopo i Balcani sono avvenute le distruzioni di Mosul in Iraq, Aleppo, Palmira, Homs in Siria. Homs era una città con 2300 anni di storia di 800.000 abitanti, grande quanto Torino, nel cacciare l’ISIS dalla città l’esercito siriano con l’appoggio della Russia ne ha perpetrato la distruzione.  Dall’inferno distruttivo siriano provengono i milioni di profughi che si accalcano alle frontiere dell’Europa. 

Nonostante siano trascorsi millenni, siano cambiate le tecniche, potenziati gli strumenti di morte, sembra che non sia modificato il modus operandi di alcune guerre, di alcune invasioni che si ripetono con il macabro rituale dell’isolamento, l’accerchiamento, portare alla fame e alla carestia gli assediati e la successiva distruzione totale della città.  Da Agamennone, Annibale, Tito, Alessandro, Gengis Khan, Saladino, e tantissimi altri condottieri, tiranni, dittatori, imperatori o re, alle guerre dell‘800 e del ‘900, del 2000, sino ai giorni nostri con Assad, Erdogan e ultimamente Putin chi resiste, non si arrende subito, è destinato a subire la rappresaglia più feroce che comporta pure la cancellazione totale che si compie attraverso il Genocidio e l’Urbanicidio. 
Proprio quello che sta accedendo in questi giorni in diverse città ucraine e in particolare a Mariupol, sembra che sia stata letteralmente rasa al suolo. Un cumulo di detriti e cenere mischiata alla carne della povera gente, dei militari, alle anime delle persone morte o prigioniere, scappate o deportate a forza nei campi di “rieducazione”. 

Giungono immagini e sequenze video che ricordano alcune scene del film “Germania anno zero” di Roberto Rossellini. La vita dei protagonisti si svolgeva tra le macerie di Berlino, quando girò le riprese era l’autunno del 1947, sembrava che non si potesse ripetere nulla del genere. Invece sono immagini che ritornano. Le ultime guerre hanno riportato nuovamente l’Europa alle sequenze di distruzione di Rossellini e la riduzione di quel che resta delle città ad un cumulo di macerie. 
Distruggere le città è anche trasformare milioni di abitanti in fuga in profughi, utilizzarli come un’arma non convenzionale per destabilizzare le regioni vicine. 

Tito Flavio Vespasiano (futuro imperatore Tito) nel 70 d. C. dopo un sanguinoso assedio ordinò di radere al suolo Gerusalemme, la città fu spianata. Seguirono immani stragi e deportazioni.  Cartagine venne rasa al suolo dall’esercito romano, secondo un aneddoto il terreno fu cosparso di sale affinché non nascesse neppure un filo d’erba. In quel periodo il sale era un bene prezioso, si tratta quasi certamente di una metafora che fa comprendere la violenza della distruzione. 
Nella tradizione letteraria, i greci dopo 9 anni di assedio dalle alterne vicende soltanto alla fine, con lo stratagemma del cavallo, entrarono a Troia e la distrussero.  
I vinti furono sterminati. Anche alcuni vincitori greci non ebbero vita facile perché gli dei si vendicarono delle loro malefatte, della distruzione dei templi. Basti pensare a Ulisse, si perse per 10 anni vagando nel mediterraneo prima di tornare a Itaca. Agamennone quando tornò fu ucciso, sempre per vicende legate alla guerra. “Menelao giunse prima a Creta e poi in Egitto, dal quale non riuscì a ripartire a causa dell’assenza di vento favorevole. Nestore fu l’unico che ebbe un ritorno rapido ed indolore perché premiato dagli dei per la sua buona condotta sul campo di battaglia, nel rispetto dei valori tradizionali.” 

ApPhoto, Ospedale danneggiato dai bombardamenti a Mariupol con sovraimpressa Guernica di Pablo Picasso, 1937

Nella storia, nella letteratura e nella mitologia, chi si macchia del grave peccato della distruzione delle città e dei templi senza dimostrare pietà per gli sconfitti sarà soggetto alla vendetta degli dei e degli umani, è la Nèmesi. 
Nella mitologia greca la Nèmesi è la personificazione della vendetta alle ingiustizie. Una forma di giustizia compensativa finale, la fatalità della vendetta, la punizione delle malefatte del vincitore. 

La Nèmesi odierna? 
Potrebbe essere la Corte Penale Internazionale dell’Aia che condanna senza appello, senza clemenza, Putin e i suoi accoliti di crimini contro l’umanità, per il Genocidio e l’Urbanicidio di questi giorni.  Anche se nessuna giustizia postuma potrà riparare l’immane catastrofe, riportare alla vita migliaia di morti, ricomporre le città irrimediabilmente distrutte, alleviare le sofferenze di milioni di persone sprofondate nell’abisso dell’umanità.

Abbiamo trovato l’articolo di Latina nella rubrica “Gocce” nel sito di InArch Piemonte che ringraziamo. L’autore è stato lieto di iniziare la sua collaborazione con antiTheSi con questo importante contributo.

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