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Storia e Critica

L’architettura è arte? Così rispose Mario Galvagni

L’architettura è arte? e cos’è l’arte?

Enzo, tutto ciò che un uomo realizza ed espone al resto del mondo è innegabilmente arte, solo che a me, a lui – indicando Sandro – o a te potrebbe non bastare!”.

Rispose così Mario Galvagni in quel pomeriggio di una quindicina di anni fa in cui venne a trovarci nello studio di Sandro Lazier.
Da giovane architetto gli avevo appena chiesto cosa fosse arte secondo lui e penso fermamente che ci regalò una tra le migliori definizioni possibili. 

Sia in teoria che in pratica la sua frase è una bomba dirompente di realtà e di conseguenze:
1)…Tutto ciò che un uomo realizza ed espone al resto del mondo è innegabilmente arte, 

2) solo che […] potrebbe non bastare!

Dalle due frasi discendono due assunti principali:

  • dalla prima: “un progettista è un artista a prescindere, poiché la sua opera è per natura “esposta”
  • dalla seconda: “la propria in quanto esposta sarà criticata, dai passanti come arte o meno a seconda che “basti” o meno”

Da questi ragionamenti discende ancora che: la distinzione tra edilizia ed architettura è inesistente, o per lo meno pretestuosa. Essendo tutto “esposto” l’opera edilizia è sempre arte e quindi architettura.

..ancora sulla prima frase:

Se si ha un’architettura quando un’opera  esprime la cultura che l’ha realizzata/restaurata, significa che l’atto architettonico è sempre espressivo.

Dico questo perché trovo che oggi la figura dell’architetto (intendendo del progettista in generale ingegneri e geometri inclusi), stia cercando di eludere la sua responsabilità d’autore e d’artista intrinseco rifugiandosi dietro alla definizione della professione quale solamente tecnica. 

<<Guarda che è un tecnico! >>

<<No è un’artista! >>

<<No guarda che è assolutamente soltanto un tecnico>>

<<ma nooo.. l’architetto, suo malgrado, utilizza un linguaggio per realizzare le sue opere, quindi è un artista!>>

<<Forse una volta, oggi è solamente una figura tecnica>>

La caciara da bar non mi interessa. È evidente che la discussione non si pone proprio perché ogni atto di costruzione è sempre “esposto” e quindi atto espressivo artistico in sé – come già detto.
Guardiamoci intorno: il mondo ridonda di cavolate perfettamente realizzate dal punto di vista tecnico.
Quindi non potendo ritirare un’architettura dalla sua esposizione ricordo l’aforisma: 

Il medico può seppellire i suoi errori, ma l’architetto può soltanto consigliare il suo cliente di piantare delle viti.

 (Frank Lloyd Wright)

…e sulla seconda frase:

Ragionando su quanto detto da Mario Galvagni quel giorno di molti anni fa, fu la seconda frase che ripose ordine alle cose. Mario definì l’osservatore come soggetto preso singolarmente, “a me” – “a lui” – “o a te” e non disse “a noi” – scandendo la relatività del punto di osservazione e, concludendo con – “potrebbe non bastare” – appellandosi alla propria sensibilità artistica che è specifica e relativa di ogni singola esperienza di vita e propria di ogni percorso di crescita culturale.

disegno di un bambino di mamma e papà
<<Mamma e Papà>> rappresentazione artistica di un bambino

Ad esempio se:

il bambino/a che disegna mamma e papà scarabocchiando le figure porge il foglio dicendo: <<Mamma e Papà!>>, compie una rappresentazione artistica nell’esporlo. 

È verosimile che:

solo più avanti, quando conoscendo la storia dell’arte inizierà a costruire una propria cultura e sensibilità artistica, si chiederà quanto effettivamente voglia rivendicare il valore artistico dei suoi disegni infantili e, a meno che non si tratti di Picasso, probabilmente li ritirerà dalla loro esposizione in un cassetto come ricordo personale della sua infanzia.

Ragioniamoci: succede per le grandi opere d’architettura che sono in grado di soddisfare il pubblico più esigente e preparato, mentre le pessime architetture stanno lì a rappresentare la pochezza “culturale” di chi le ha realizzate/pensate. 

Insomma un progettista di fronte a una critica seria deve essere cosciente che:

  • Stai copiando? Mi spiace ti si sgama
  • Hai risparmiato facendo il furbetto? Mi dispiace ti si sgama
  • Hai risolto frettolosamente quel dettaglio o quel particolare? Mi dispiace ti si sgama e ti si sgamerà sempre perché la tua opera è esposta e pronta ad essere vista, “letta”, interpretata e giudicata.

In conclusione

A mio parere, dietro la scusa del “tecnicamente impossibile” si va a nascondere la vera crisi che attraversa la professione e cioè l’incapacità del progettista. Le cause di questa incapacità si devono a diversi fattori quali: l’incoscienza, le università, la complessa trama normativa che vincola le matite dei progettisti, i bassi compensi riconosciuti e, diciamolo anche di una crisi profonda della critica.
E allora in conclusione mi tornano in mente alcuni insegnamenti di Sandro Lazier, quando mi diceva: 


“Io non voglio vietare agli altri di essere come sono loro e di progettare alla loro maniera anzi voglio la piena libertà espressiva e per contro esigo di poter progettare a modo mio in libertà”
(Sandro Lazier)

Questa è vera democrazia. 

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