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Storia e Critica

Sui concorsi di architettura

I recenti avvenimenti che hanno visto, di fatto, invalidare un regolare concorso d’architettura ci costringono a ragionare, più che sulla giustezza, sulla efficacia dello strumento concorsuale in un paese dal forte spirito conservativo nel quale vincoli d’ogni genere e grado sostengono l’arbitrio di pochi censori.
Intanto, cominciamo col dire che i concorsi sono regolati dal codice degli appalti, di cui l’ultima modifica risale al 30 dicembre 2018. Quindi un codice attualissimo.
In questa legge, nello spirito di promuovere la qualità dei beni e dei servizi forniti alla pubblica amministrazione, viene chiaramente specificata la nozione di concorso di progettazione e di idee, al capo VI che qui trovate in estratto.
Nel testo, aggiornato negli anni, vengono previste tre tipologie di partecipazione:
a) concorso di progettazione ad unico grado, finalizzato ad uno studio di fattibilità tecnico-economico;
b) concorso di progettazione a due gradi, finalizzato, in primo grado, a un’idea progettuale e, in secondo grado, a un progetto di fattibilità tecnico-economico;
c) concorso di progettazione a due fasi, finalizzato, nella prima fase, ad un progetto di fattibilità tecnico-economico e, nella seconda fase, a un progetto definitivo a livello architettonico, e di fattibilità tecnico-economica per la parte strutturale ed impiantistica.
Altra cosa sono i concorsi di idee stabiliti dall’articolo 156.
“Il concorso d’idee può essere assunto come riferimento per un successivo concorso di progettazione. Il concorso di progettazione, invece, è predisposto sulla base di un ben definito programma d’intervento il quale, essendo dotato normalmente di un finanziamento già deliberato, prevede la successiva realizzazione del progetto vincitore. A differenza del concorso di idee, il concorso di progettazione si configura come una vera e propria modalità per l’affidamento dell’incarico di progettazione definitiva ed esecutiva, sia essa completa, parziale o per stralci successivi.” (ingegneri.info).
Ora, già il fatto che la progettazione possa essere spezzettata e affidata a più soggetti, spesso sconosciuti tra loro, rende difficilmente raggiungibile la sufficiente qualità architettonica che lo strumento intende realizzare. Tutti coloro che hanno progettato e costruito sanno che il progetto è solo una porzione dell’opera realizzata. La presenza di una regia in cantiere deve essere costante e il controllo di tutte le fasi della costruzione devono stare sotto un’unica direzione.
Nel codice manca quindi l’obbligo di riferimento al soggetto principale cui tutte le fasi successive devono rispondere.
Altro limite: il comma 3 dell’articolo 156 stabilisce che la partecipazione deve avvenire in forma anonima.
Ora, che un’opera d’ingegno creativo, la cui mano tradisce sempre uno stile personale, pretenda l’anonimato tocca i vertici più elevati dell’ipocrisia.

Ma veniamo al nocciolo della questione.
In rete mi sono imbattuto in un post di VulcanicaArchitettura che ha espresso per punti esattamente la mia posizione, oltretutto da un punto di vista meno teorico e più pragmatico.
La ripropongo qui integralmente.
“Ancora Concorsi ? Vorremmo dire la nostra sui concorsi d’architettura in Italia: dopo aver partecipato a tanti di essi, in venticinque anni, con qualche risultato, e continuando a parteciparvi tutt’ora, cadendo ogni volta nella trappola dell’entusiasmo e della passione per il progetto, sentiamo di non poter essere affatto fieri di questo strumento.
Concorsi_1
I concorsi d’architettura in Italia, così come perlopiù organizzati, andrebbero sconsigliati se non vietati, non è sicuramente etico, e forse neanche legittimo, organizzare ed invitare gli architetti a partecipare ad una procedura che preveda di svolgere il proprio lavoro praticamente in “nero”, non pagati, anzi, di svolgere lavoro per fare il quale si è costretti a pagare, a spendere, e tanto, come appunto succede per un concorso di architettura in Italia agli architetti, l’unica categoria al mondo che paga per lavorare!
Concorsi_2
i concorsi di architettura dovrebbero prevedere sempre il compenso equo e idoneo per tutti i partecipanti che svolgono correttamente il lavoro richiesto, come in Francia!
Concorsi_3
l’enorme problema dei concorsi è rappresentato dalle giurie. Chi sono i giudici, con quali criteri si scelgono, perché il loro giudizio è insindacabile, perché non sono personalmente responsabili dei risultati troppo spesso pessimi, perché non si possono conoscere le giurie prima di partecipare così da evitare di essere giudicati da ciucci o da individui non stimati?
Concorsi_4
che garanzia di anonimato sarebbe quella di identificare il progetto con un codice o un motto, che ipocrisia, come se non fosse possibile, invece di suggerire un nome, suggerire un numero o una parola? Che farsa! E perché? Molto meglio metterci subito la faccia! I giudici e i partecipanti.
Concorsi_5
un progetto serio, vincitore di un concorso serio, garanzia del migliore edificio per la comunità e per la città, andrebbe sicuramente e rapidamente realizzato. Invece le probabilità che si realizzi in Italia sono decisamente inferiori a quelle di una vincita al gratta & vinci!
Concorsi_6
ci piacerebbe un giorno partecipare ad un concorso di architettura, felici di essere giudicati da un giudice onesto, che consideriamo bravo ed esperto, responsabile delle proprie scelte nei confronti della città e dei cittadini oltre che degli architetti partecipanti; ci piacerebbe essere compensati per tutto il lavoro che comporta elaborare correttamente un buon progetto di concorso; ci piacerebbe poter illustrare il nostro progetto al giudice guardandoci negli occhi per conoscersi e fidarsi, del giudice che deciderà e dell’architetto che costruirà, rapidamente, il miglior edificio possibile per la comunità!”

Io credo che a questo punto sia possibile aprire una seria discussione per dare sufficiente dignità e forza allo strumento concorsuale, con un obiettivo chiaro e determinato: rendere il concorso d’architettura parte di un progetto di legge sulla qualità dell’architettura che abbia una propria autonomia, svincolata dal codice degli appalti e dai vincoli delle soprintendenze.

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