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La Vie en Rosa

Il Palazzo di Cnosso

Giace agonizzante sulle primissime pagine dei testi di storia dell’architettura.
Il passante lo vede così, abbandonato sulla sabbia e compassionevolmente lo rigetta nel mare inquinato che definiamo la “eredità culturale dell’Occidente”, come farebbe con un orca arenata.
Che vada a crepare altrove.
Ma come quei sacchetti di plastica che i secoli non riescono a dissolvere e in cui s’impigliano pesci e nuotatori, la bestia si arena di nuovo .
La sua struttura chimica è troppo densa per disgregarsi.
Da quattro mila anni è sempre lì che c’interroga.
Dovremmo essere noi però a interrogare lei, come si faceva un tempo con le enciclopedie, anch’esse, ormai, rottami galleggianti alla deriva del tempo.
Chiunque potrebbe, dalla foto allegata (quasi sempre la stessa, o molto simile, in ogni manuale di architettura) desumere, volendolo, i principi che stanno alla base del nostro mestiere.
Se praticante, potrebbe anche procedere tranquillamente, sulla loro scorta, alla redazione di qualsiasi progetto di architettura (di qualsivoglia complessità o ampiezza) confidando in risultati dignitosi.
Lo stato corrente dell’arte testimonia invece il carattere ottimistico di questa illazione.
Però, attenzione, non la falsifica.
La riflessione sui fondamentali infatti non ha più peso alcuno nel tirocinio dell’allievo.
L’incauto ritiene al contrario di potersi impunemente inoltrare in mare aperto dove però questo indistruttibile catorcio si avviluppa nelle eliche e lo lascia in panne.


Personalmente tendo a considerare indiscutibile che se l’architetto medio non studiasse nella sua intera esistenza altra architettura che questa, e a questa sola si attenesse con diligenza, farebbe danni inferiori a quelli che ci causa la sua miserabile “libertà creativa”.


In questa enciclopedica carcassa infatti c’è tutto quel che serve.
Si riduce, è vero, a pochissimo; ma non è mai stato esposto meglio né in maniera altrettanto didascalica.
Vorrei riassumere ad uso dei miscredenti:
1) la relazione tra inevitabile precisione geometrica della costruzione e fatale imprecisione orografica della terra che l’accoglie; nonché il modo corretto in cui quest’ultima va affrontata e risolta, anch’essa, in geometria (euclidea, ça va sans dire…).
2) Il rapporto dell’edificio con ciò che lo circonda e la necessità della scelta, di volta in volta, di aprirsi o chiudersi nei suoi confronti. La maniera, inoltre, in cui fare l’una o l’altra cosa.
3) la necessaria definizione che ogni manufatto richiede sullo sfondo del cielo (dunque dell’universo) e le modalità grammaticali e sintattiche con cui questa definizione va data.
4) il sistema costruttivo che ha costituito la spina dorsale dell’architettura e ancora oggi, nonostante petizioni di principio e fughe in avanti, le dà forma e sostanza: quello trilitico (travi e pilastri).
Così questo sbrindellato lacerto insegna ancora oggi, dopo quasi quattromila anni, che cos’è l’architettura e come la si progetta. O per lo meno potrebbe farlo.


Invece lo si ributta a mare e lui, tristemente, si arena di nuovo.
Sotto gli occhi divertiti e distratti di milioni di turisti, tra cui parecchi praticanti d’architettura che ignari vi deambulano intorno: coi loro zainetti, i loro sorbetti, i loro libretti e con tutta la loro formidabile CREATIVITA’.



(Ugo Rosa – 28/10/2017)

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