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Storia e Critica

Galvagni, Gaudì e la ricerca

Il 17 dicembre dell’anno appena trascorso, l’Avvenire ha pubblicato un articolo a firma Leonardo Servadio dal titolo Anche l’Italia ha il suo Gaudì. Il riferimento al genio catalano investe l’architetto milanese Mario Galvagni, sul lavoro del quale antiTHeSi ha pubblicato numerosi testi e articoli e tiene tutt’ora una rubrica sull’esperienza didattica dello stesso a Parma e Pavia. L’articolo di Servadio riserva al lavoro di Galvagni toni ed espressioni entusiastiche, proprie di chi scopre solo ora la genialità e l’attualità di un autore che non ha beneficiato della doverosa popolarità di cui invece hanno goduto personaggi molto meno importanti dell’architettura nostrana.
Tanta benevolenza critica è stata suggerita da Nikos A. Salingaros, che appare tra gli intervistati, e che conosciamo per la sua posizione critica estremamente negativa, intransigente e aggressiva nei confronti del movimento che va sotto il nome di Decostruttivismo. Nome dal quale tutti, per una ragione o per un’altra, oggi prendono le distanze. Ragioni che poco importano a Salingaros il quale, in effetti, è un paladino della tradizione classica ed è in genere avverso a qualsiasi forma di modernismo. In più scritti ha accusato questi architetti di stravolgere formalmente gli edifici per pura vanità, ispirandosi indebitamente alla teoria della complessità e ad altre discipline scientifiche che secondo lui, Professore di matematica presso l’Università del Texas a San Antonio, ignorano o al massimo interpretano grossolanamente.
Salingaros doveva incontrare Galvagni durante un convegno ad Alba nel settembre del 2006. Durante i preparativi per l’incontro ci fu uno scambio di corrispondenza, di testi e di articoli di cui sono testimone.
Fu in quell’occasione che il matematico rimase fulminato e spiazzato dalla preparazione e dalla complessa personalità di Galvagni il quale, come membro della Società Italiana di Fisica, non poteva essere indicato tra i dilettanti della scienza. Quello che lo colpì fu sicuramente la mole di ricerca teorica che stava alla base dei lavori degli anni giovanili, i cui esiti formali si possono oggi rilevare proprio nelle architetture più aspramente condannate dal critico.
Non fa quindi sensazione che un autore autenticamente moderno e con una preparazione profonda trovi finalmente il rilievo e la popolarità che merita. Ciò che fa pensare è il fatto che ciò avvenga grazie all’interesse e all’impegno di uno dei massimi denigratori dell’architettura moderna. Sicuramente pagando un prezzo perché, dalle frasi dell’intervista, risulta evidente quanto Salingaros, per confermare le sue tesi, usi le profezie di Galvagni come una leva in grado di rovesciare le pretese novità dello star system attuale.
Non potendo attaccare l’autore sul piano della preparazione scientifica né su quello della tradizione, non resta altro che celebrarlo e collocarlo sull’altare, mettendo in rilievo la deficienza del sistema che, ingannato dalla miopia delle mode effimere, non s’accorge del rilievo di personaggi fondanti e capitali.
Impossibile per Salingaros attaccare Galvagni come nemico della tradizione. Meglio farselo amico e usarlo.
In effetti Galvagni con la tradizione non ha mai litigato. Chi conosce appena il suo lavoro sa che la tradizione è fonte di tutta la sua ricerca e sperimentazione. Ma la tradizione di Galvagni non ha nulla a che vedere con le teorie nostalgiche e postmoderne degli ultimi vent’anni. Essa non trae dalle forme passate la propria conferma e legittimazione, ma cerca nella loro evoluzione l’ambito “biologico” che le modella, cerca il motore “ecologico” che le rinnova continuamente dotando l’architetto di uno strumento teorico di continuo rinnovamento.
In quest’ottica nulla può essere come prima, ma il nuovo dovrà nutrirsi di passato. Un passato che va dalle formazioni geologiche fino alla presenza dell’uomo, della sua storia e delle interazioni con la natura fisica dei luoghi. Quella di Galvagni è essenzialmente una tradizione fisica e coerentemente scientifica.
Questa è la ragione principale per cui l’unica cosa che accomuna il nostro autore a Gaudì è l’iniziale del cognome. Ma Salingaros questo non lo ha capito o forse lo ha capito troppo bene e non lo vuole concedere. Rimane il fatto che quando il lavoro di un artista si nutre di solide radici e profonde conoscenze, questo regge alla fugacità delle mode e alla vanagloria di coloro che agevolmente le avversano. Se basta ascoltare una telefonata rubata per buttare a mare qualche suggestione patinata, pompata da riviste e da docenti compiacenti, non è sufficiente nemmeno una corazzata della disapprovazione come Salingaros per scalfire minimamente il lavoro di un autore la cui dedizione e il cui rigore etico devono essere modello per chiunque voglia fare questa professione.
Grazie comunque al professore per aver acceso i proiettori su Galvagni.
A noi il compito di proporlo nella giusta dimensione e renderlo accessibile a lettori e studenti, proponendolo come modello alternativo a quello dell’allegra compagnia dei vincenti a tutti i costi, salito agli onori della cronaca giudiziaria.
Nella prima pagina di questo giornale abbiamo aperto una finestra che contiene l’aggiornamento in tempo reale delle ricerche di questo prezioso autore.
Per finire, vorrei porre l’accento sulla necessità, non solo degli studenti e dei professionisti ma di tutta la critica impegnata, di ritornare a riconsiderare senza l’imperativo di una collocazione ideologica desueta le esperienze italiane posteriori alla seconda guerra mondiale, delle quali Galvagni è senz’ombra di dubbio personaggio di particolare rilievo.

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