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La Vie en Rosa

God bless the child

“Il pretore romano Vario Messana si appropriò, a Catania, di un orologio solare. Se lo fece trasportare fino a Roma dove, per via della differente latitudine, l’orologio segnò per decenni l’ora sbagliata”
Edward Gibbon, Declino e caduta dell’impero romano
“Il destino è sempre giovane”
Oswald Spengler, il Tramonto dell’Occidente
“Il comico televisivo è fortunato.
Se le sue barzellette non fanno ridere gliene resta sempre un’ultima: spararsi in diretta. Se la cosa non funziona e lui sopravvive può ritentare la sorte sparando a un collega durante il talk show successivo al suo mancato suicidio.
Male che vada avrà comunque fatto un’azione umanitaria”

Sam Walker, Su e giù per Sunset Boulevard, memorie di un comico di strada


Questa è la prima volta che sono invitato a far parte di una giuria che assegna un premio all’architetto e la cosa, in effetti, ha sorpreso anche me. Ma viviamo tempi strani e, come si dice, “Anything can happen…”.
In questo caso si trattava, come ciascuno verificherà sfogliando le pagine seguenti, di un premio destinato a (più o meno) giovani architetti che, negli ultimi anni, hanno progettato o costruito qualcosa in Sicilia.
Per esercitare in Italia il mestiere di architetto senza avere alle spalle uno o più politici “di riferimento” (con possibilità di ricambio) e senza appartenere ad un ambiente di livello economico tale da garantirti almeno una clientela privata è necessaria incoscienza totale e, se non sei ricco di famiglia, una tenace vocazione all’ascetismo per accettare il fallimento professionale, l’umiliazione quotidiana, la disoccupazione e la povertà senza colpi di testa. Mi sorprende sempre, però, devo ammetterlo, la capacità degli architetti italiani nel far finta di illudersi circa le possibilità effettive che avrebbe l’architettura nella penisola. In Sicilia, poi, tale capacità possiede seriamente dimensioni titaniche. Verrebbe da pensare che o noi architetti siamo vittime di cretinismo pantagruelico, oppure, senza meno, siamo eroi superumani e Pietro Micca ci fa un baffo. Probabilmente siamo ambedue le cose, perché non è detto che il cretinismo e l’eroismo si escludano a vicenda (diciamo che stanno su piani differenti e possono sovrapporsi…). Ma c’è dell’altro: c’è una buona dose d’egocentrismo che fa persuasi molti di essere talmente bravi da potercela fare.
E’ risaputo che la parola “Architetto” (e per la parola “Artista” è lo stesso…) designa, a partire dal Rinascimento, l’elemento affetto da un’escrescenza tumorale dell’ego che oggi, allo stato terminale, ha assunto proporzioni ripugnanti. Il che, se non è proprio cretinismo, non esula però dalla dabbenaggine, giacché deriva dall’illusione perniciosa che, per l’architettura, valga ciò che spesso (se non proprio sempre) vale per le altre professioni. In effetti, se sei un bravo medico e lo dimostri, la gente prima o poi verrà a farsi curare da te e tu avrai ottime probabilità di diventare ricco e famoso. Lo stesso se sei un avvocato in gamba. E se sei un bravo falegname, un idraulico coi fiocchi, un cuoco o un massaggiatore sopraffino. La tragedia dell’architettura consiste invece in questo: che non solo il fatto che sei bravo non ti porterà né soldi né incarichi, ma che è vero esattamente il contrario. La bravura di un architetto, in brevi parole, è inversamente proporzionale alle sua effettive, concrete e reali possibilità di successo.
Dappertutto in Italia, ma soprattutto in Sicilia.
Non è pessimismo, è matematica.
Il bello è che tutti si danza la giga della raffinatezza intellettuale, si parla delle nubi e dei colori del tramonto e si fa finta di non vedere questa iridescente, fosforescente, elefantiaca, inespugnabile e rozza verità: che i migliori sono, da anni, professionalmente falliti e, stando così le cose, continueranno immancabilmente a fallire. Pratichiamo invece il sorriso, la pacca sulla spalla e l’augurio eterno del cialtrone: vinca il migliore!
I risultati? Ve li espongo in breve.
L’anno scorso sono stato alla facoltà d’architettura di Palermo proprio nel giorno degli esami di ammissione al primo anno. Sembrava di stare in un documentario sull’U.R.S.S. dei vecchi tempi, quando tutti s’accalcavano per assaggiare la coca cola e comprarsi le scarpe da ginnastica provenienti dal mondo dei sogni. Ho dovuto farmi largo, praticamente a nuoto, tra ondate di giovani d’ambo i sessi che premevano da ogni parte, come in cerca d’approdo e di salvezza, contro quella scogliera abbandonata. Giunto ai piedi del portale (accuratamente chiuso per impedire ai flutti di penetrare) bussai. Mi aprì un signore con un foulard di seta al collo. Una visione di benessere, freschezza e serenità (scoprii in seguito che si trattava di un professore ordinario di Storia dell’Architettura facente parte della commissione esaminatrice). Spiegai perché ero lì e quell’angelo del signore mi pregò d’attendere in ormeggio. Dopo un po’ (i marosi intanto crescevano e tenersi aggrappato allo stipite era oramai questione di vita o di morte) il portale si riaprì come per magia ed apparve un occhiale assai spesso, mi parlò come il genio della lampada: “Che desidera?”. Io rispiegai il perché della mia dolente e intempestiva apparizione ed espressi non tre ma un solo desiderio, quello di attraccare in quel porto fiabesco. La porta allora si richiuse per riaprirsi subito dopo, come se il custode avesse levato la catena. Fui lasciato entrare mentre due forzuti bagnini, sulla soglia, si opponevano eroicamente, petto in fuori, alla marea montante e fortemente desiderosa di approfittare di quella falla provvidenziale. Riuscii solo a fatica a penetrare quella fortezza, assediata da un esercito di speranzosi futuri architetti, che, più tardi, rividi all’interno, seduti a centinaia a compitare misteriosi test d’ingresso. Abbastanza felici e con l’occhio, si vedeva, rivolto al futuro.
Dio li benedica, poveri figli.
La cosa che più fa arrabbiare, tuttavia, è che assieme a questa benedizione arrivano i sensi di colpa. Perché so che se andrà ad effetto e se alcuni di loro diventeranno ricchi e costruiranno sul serio, allora, proprio quelli, non l’avranno meritata. Loro, lo so già sin da ora, saranno invece da stramaledire. Sempre per via della dannata matematica. Pensate allora in quale trappola grottesca siamo imprigionati. Qui, nell’isola, ancora peggio che altrove.
Perciò prendete questo piccolo riconoscimento per quello che vale. Equivale ad uscire per un attimo fuori della tagliola e a poter dire, per una volta, a un architetto bravo (senza che la mano ti resti anchilosata in eterno, per punizione, nel gesto di un pantocratore incazzato): Dio ti benedica.
Niente più di questo.
Ma, insomma, anche nulla di meno.

(Ugo Rosa – 25/4/2007)

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