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Sulla riforma dell’ordinamento professionale

Dopo trenta anni di blablaismi, il progetto di riforma dell’Ordinamento Professionale sembra essere arrivato al dunque. Dopo l’approvazione del Decreto Legge Bersani infatti, sia la “Margherita[1]” che la “Casa delle Libertà[2]” hanno reso pubblici i loro disegni di legge.
E’ arrivato quindi anche per i professionisti il momento dell’innovazione. Ma…
C’è sempre un ma. In questo caso ben rappresentato dal grande business della formazione permanente; con corsi annuali di aggiornamento per i due milioni e mezzo di professionisti. Ma come garantire il proliferare di questo immane mercato? Rendendolo obbligatorio pena l’estromissione forzata dal mercato del lavoro, tramite verifiche annuali della presenza ai corsi. Naturalmente non si parla mai del vile denaro ma di difesa dell’interesse pubblico cui offrire servizi di alta qualità in quanto prestati da professionisti in perenne fase di aggiornamento. E la verifica del reale livello di formazione viene affidato agli Ordini, guarda caso, gestiti da colleghi che operano all’interno dello stesso mercato del lavoro dei professionisti da controllare.
E’ noto però che la qualità gode di scarso interesse e che gli Ordini vantano un passato poco credibile. Non si può scordare come la città di Venezia abbia negato a F.L. Wright, a Le Corbusier e a Louis Kahn interventi edilizi che avrebbero lasciato il segno della nostra epoca nella storia di questa città. Ed è ancor più difficile rimuovere il ricordo dei processi promossi contro un maestro dell’architettura quale è Carlo Scarpa. Non dalla città ma proprio dall’Ordine degli Architetti.
Tre sono state le denunce: nel 1956, nel 1959, nel 1963 ed un esposto nel 1964.
Cosa veniva imputato a Carlo Scarpa dall’Ordine interprovinciale di Venezia, Belluno, Rovigo e Vicenza con sede premonitrice in San Marco, Palazzo delle Prigioni? Di aver conseguito, nel novembre del 1956, il premio nazionale di architettura “Olivetti”. Di fatto lo si rimproverava di essere stato giudicato un bravo architetto.
La cosa più triste è che nel gergo demenziale degli esposti, il Presidente dell’Ordine si onorava, di esporre argomenti di questo tenore “ La rivista “Architettura” a firma di Bruno Zevi (pag. 318 del n. 6 dell’agosto 1955), ne tesseva gli elogi definendolo uno dei rari artisti autentici del nostro paese, la cui attività ha un valore didattico di primo piano. Costui che è, ripetesi privo di alcuna laurea, osa addirittura presentarsi in pubblico a tenere conferenze sull’architettura moderna.”
L’Ordine quindi, tramite il suo Presidente, negava credibilità alla critica ufficiale e si ergeva ad unico vero giudice del bello. Si legge infatti: “…che lo Scarpa abbia elaborato il progetto di restauro e di adattamento dei locali in Piazza S. Marco, sede dell’ufficio vendite dell’Olivetti, risulta dal fascicolo 43 della Rivista “Architettura” direttore Bruno Zevi, uno dei più grandi elettori e protettori del Carlo Scarpa… …a prescindere dalle esaltazioni, veramente impressionanti dell’opera che viene avvicinata con riferimenti espliciti, a Michelangelo, al Palladio, al Wright, onde torna necessario una osservazione in ordine alla faciloneria di ogni critica d’arte, ove difetti la rigorosa identificazione dei confini del bello, e della stessa aggettivazione……Della stessa opera con altrettanta esagerata laudazione Carlo Raggianti scrive in Zodiac per illustrare l’ultimo lavoro di Carlo Scarpa architetto veneziano… …consideriamo l’articolo come una miniera di superlativi e di immagini laudative buone per qualsiasi e comune ormai eloquio, osserviamo soltanto che illumina il reato dello Scarpa attraverso la sua pubblica fama di architetto”
Dalla sentenza emergono queste informazioni:…”Interrogato dal Pretore lo Scarpa respinge l’addebito relativo all’abuso del titolo di architetto affermando invece con legittimo orgoglio di potersi fregiare dell’appellativo di docente universitario per la cattedra di decorazione dell’Istituto di Architettura di Venezia. In merito all’addebito di esercizio abusivo della professione, l’imputato ha giustificato la sua paradossale esclusione dall’Albo Professionale per effetto del congegno legislativo ( L.24.06,23 n.1195; R.D. 23.10.25 n. 2537) che istituendo gli Albi professionali ed imponendo conseguentemente l’obbligo di iscrizione, dettava norme di carattere transitorio delle quali egli non potè utilmente giovarsi non avendo raggiunto nel 1926 l’anzianità di 5 anni nell’esercizio della professione.”
Naturalmente c’è chi sostiene che Carlo Scarpa impersonifica la solita eccezione che conferma la regola. Potrà essere vero. Ma il livello critico dei Presidenti dell’Ordine Veneto lascia molto a desiderare e suscita gravi dubbi sulla volontà di demandare a colleghi concorrenti, il giudizio sul livello dell’aggiornamento professionale di un professionista.
Se un giudizio deve essere espresso, questo giudizio non può essere formulato che da un coacervo di personalità super partes e di chiara fama. Ma prima occorrerà anche stabilire cosa si intenda per qualità. Se è di ordine estetico\culturale, solo la posterità potrà esternare un giudizio definitivo in quanto l‘artista nelle sue opere precorre sempre il suo tempo. Se invece è di livello tecnico\progettuale, al fine di garantire alla committenza che il prodotto finale avrà le caratteristiche richieste e al costo preventivato, la richiesta assume un aspetto diverso ed accettabile. Ma questa garanzia, da decenni è già offerta, ad esempio in Francia, da polizze assicurative che proteggono il committente dagli eventuali errori progettuali o dal mancato rispetto di prescrizioni e norme che però devono essere certe e mai interpretabili.
L’istituto dell’Assicurazione seleziona meglio di qualsiasi verifica delegata ad un organismo di tipo professionale. Infatti dopo il primo errore il costo dell’Assicurazione diviene proibitivo per il professionista e al secondo nessuna assicurazione provvederà a rilasciare la polizza di garanzia.
Del resto non è assolutamente condivisibile la cancellazione dall’Albo anche alla luce di quanto sancito dalla nostra Costituzione.
Art. 4 : La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Le proposte di Legge negano tale principio costituzionale e finiscono per isolare dal contesto sociale non solo il professionista radiato, ma tutta la sua famiglia.
Art. 35: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Dunque, la formazione professionale, per quanto inalienabile eticamente, non deve essere imposta attraverso costrizioni che hanno quale prerogativa base l’essere vincolate a sanzioni che cancellano “…la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”. Bisogna quindi lavorare sui significati del concetto di “formazione”, non obbligando, ma stimolando ad accrescerla sempre di più.
Detto ciò, sarebbe curioso sapere se i nostri politici si direbbero favorevoli ad un articolo di Legge così conformato: il professionista che assume il titolo di On. parlamentare, di sindaco o di Assessore viene cancellato dall’Albo per l’intero periodo del suo mandato. Terminato il mandato stesso, volendo ritornare ad esercitare la professione, il suddetto ex politico dovrebbe obbligatoriamente frequentare tanti anni di corsi d’aggiornamento quanti quelli passati a svolgere politica attiva.

[1] clicca (http://www.camera.it/_dati/leg15/lavori/stampati/pdf/15PDL0007000.pdf)

[2] clicca(http://www.camera.it/_dati/leg15/lavori/stampati/pdf/15PDL0011990.pdf),


(Alberto Scarzella Mazzocchi – 19/10/2006)

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Una risposta su “Sulla riforma dell’ordinamento professionale”

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