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Storia e Critica

L’Architettura Cronache e Storia chiude. Le ragioni di Luca Zevi

L’Architettura Cronache e Storia, gloriosa rivista fondata da Bruno Zevi nel 1955 e da lui diretta fino alla sua morte il 9 gennaio del 2000, sospende la pubblicazione. In questa intervista Luca Zevi risponde a tre domande che dovrebbero spiegare le ragioni della chiusura.

Sandro Lazier:
“A Riesi, in Sicilia, durante un convegno al Monte degli Ulivi, ci hai anticipato la notizia della sospensione della pubblicazione di Architettura Cronache e Storia. Puoi illustrarci le ragioni, senz´altro sofferte, di tale decisione?”

Luca Zevi:
“La decisione ha come causa occasionale il disimpegno dell’editore, ma affonda le radici in un comune sentire della redazione: abbiamo affrontato con slancio e qualità la non facile sfida di continuare la rivista all’indomani della scomparsa del suo fondatore e primo direttore; oggi la continuità non basta, perchè serve un progetto capace di attualizzare la “missione” della rivista di fronte ai grandi temi con i quali è chiamato a confrontarsi il mondo dell’architettura. Di fronte a questo compito il gruppo redazionale, che ha lavorato coralmente con grande passione nei passati cinque anni, ha ritenuto opportuno un momento di riflessione.”

S.L:
” Credo che le ragioni che hai espresso in relazione alla rivista riguardino più in generale il mondo della pubblicazione dell´architettura su carta. I nuovi mezzi – che, secondo il mio parere, sono spesso superficiali ed inadeguati – hanno tempi e ritmi diversi che coinvolgono il pubblico con argomenti apparentemente suggestivi. A Riesi, in fondo, abbiamo assistito ad uno spettacolo fine a se stesso, ben oltre la comunicazione intesa come promozione di un consenso informato. Lo spettacolo è parso anteriore all´oggetto della rappresentazione, vale a dire dell´architettura. Cosa pensi al riguardo?”

L.Z:
“L’incontro di Riesi mi è sembrato molto utile per fare il punto sulle modificazioni radicali registrate dal mondo della comunicazione dell’architettura negli ultimi anni. Nello straordinario contesto – non solo ambientale, ma anche e soprattutto esistenziale – del Villaggio Monte degli Ulivi, abbiamo preso atto della molteplicità dei canali attraverso i quali l’architettura viene comunicata, in un momento storico caratterizzato da un interesse per la disciplina forse mai conosciuto dalle stagioni precedenti.
In un ambito così variegato le riviste di architettura “tradizionali” non sono apparse capaci di fornire un messaggio più calzante di quello rivolto ad un pubblico assai più ampio dalle migliori testate “generaliste”. Il loro compito storico – contribuire allo sviluppo della società attraverso un rapporto più equilibrato fra uomo e territorio – è largamente disatteso. Per una rivista come la nostra – che non ha l’obiettivo di sopravvivere ma, al contrario, si sente in dovere di domandarsi quotidianamente se vi sia una ragione per continuare a vivere – la difficoltà di rispondere a tale compito conduce immediatamente ad una messa in discussione della propria legittimazione, nel momento in cui proprio un’irrazionale sfruttamento delle risorse e un dissennato rapporto fra uomo e habitat rischiano di vanificare le straodinarie conquiste degli ultimi due secoli.”

S.L:
Credo d´interpretare il desiderio di molti lettori se ti esprimo l´augurio di riprendere al più presto la pubblicazione della rivista. Forse, dopo un opportuno e conveniente giro di boa, magari rimpiazzando anche in parte l´equipaggio, chissà che il vento della passione non torni a soffiare. Abbiamo sempre più necessità di un confronto severo con i valori ideali. Abbiamo vinto il postmoderno e la falsificazione della storia. Perché abbandonare proprio ora?

L.Z:
“La risposta è insita nella tua intelligente formulazione della domanda. Paradossalmente, è stata proprio quella vittoria, cui abbiamo lavorato con la massima profusione di energia, a determinare la crisi odierna. Negli anni ’80, emarginati e derisi, mai avremmo potuto lasciare il campo proprio perchè tutti gli altri – chi più chi meno – erano saltati sul carro del postmoderno e di quella che tu chiami appropriatamente “falsificazione della storia”.
Oggi (non sappiamo per quanto tempo perchè la storia è fatta di corsi e ricorsi) il linguaggio architettonico prevalente è completamente affrancato da qualsivoglia canone aprioristico, è “interamente architettura”, come auspicava Wright. In questo momento una rivista di architettura che voglia perseguire coerentemente un progetto moderno non deve più tanto impegnarsi in una battaglia difensiva contro la reazione montante, quanto declinare la nuova libertà finalmente acquisita nella direzione di un rapporto uomo/ambiente più equilibrato e fecondo. In altre parole, dalla lotta per la sopravvivenza ad un progetto maturo di insediamento umano capace di invertire la china di un disastro ambientale che, qualora non sconfitto, rischia di svolgere nel secolo presente il ruolo distruttivo che le ideologie totalitarie hanno svolto nel XX secolo.
Se ci sentiremo in grado di lavorare a questo progetto con l’energia e la qualità con le quali abbiamo lavorato all’affermazione dell’architettura moderna negli ultimi 50 anni, torneremo con gioia.”

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